Quali regole prevede la legge per la vendita di una casa ricevuta in eredita' ? Ed esistono altri rimedi, per quanto indiretti, per tentare di vendere contro la volonta' degli altri? Vediamolo qui.
Bene ereditato e comunione
Una volta passato nella proprieta' degli eredi, nel caso in cui questi siano pia'¹ di uno, il bene appartiene a tutti, sebbene eventualmente in quote diverse. In tali casi il bene e' in proprieta' in comunione degli eredi, con conseguente applicazione delle norme in materia di comunione, di cui agli artt. 1100 e ss. del codice civile.
Si parla infatti di comunione ereditaria
Tipico problema, in questi casi e' cosa fare del bene e con quale maggioranza assumere la decisione. Ovviamente, la situazione e' di facile soluzione quando tutti vanno d'accordo e comunque sono disposti a comunicare tra di loro, ipotesi non scontata.
Come sappiamo, infatti, spesso divergenze annose o legate agli eventi della successione stessa, rendono difficile, se non impossibile, assumere le decisioni in comune.
Caso classico riguarda proprio la vendita dell'immobile: non tutti sono sempre dell'idea di vendere; ad es. in periodi di crisi, come questo, c'e' chi preferisce attendere tempi migliori; se poi si e' d'accordo sulla vendita non sempre si raggiunge l'accordo sulle condizioni di vendita (soprattutto sul prezzo).
Succede che cosa'¬ dei beni restino invenduti per anni, deprezzandosi inevitabilmente e mettendo a dura prova la pazienza dei malcapitati comproprietari.
=> Spetta all'erede comunicare al condominio il decesso del precedente condomino
Vendita tra consenso unanime...
La vendita deve infatti essere approvata da tutti, deve cioe' avvenire con il consenso unanime. A disporlo e', senza lasciare spazi a incertezze, l'art. 1108 c.c., al co.3, a proposito di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione nell'ambito della comunione.
Cosa si puo' fare se non vi e' unanimita' ? Cosa, puo' fare chi vuole vendere, se gli altri non vogliono? Direttamente, nulla. Nel senso, che certamente non puo' costringere altri a vendere un bene di cui sono proprietari, se non vogliono.
Un rimedio indiretto e' quello, spettante a ciascun partecipante, di chiedere lo scioglimento della comunione e, dunque, la divisione.
Data la complessita' della materia, certamente non esauribile in un articolo, qui non potremo che fare brevi cenni ad alcuni degli aspetti.
Consigliamo di rivolgersi ad un avvocato sin dai primi passi.
Questi i passi previsti dalla legge.
Per inciso, ciascun comproprietario puo' anche chiedere l'assegnazione in natura della propria quota in beni (naturalmente se cio' e' possibile) (v. art.718 c.c.).
La divisione puo' avvenire in natura, se la cosa e' comodamente divisibile in funzione delle quote dei partecipanti (v. art.1114 c.c.); se la cosa non e' comodamente divisibile, bisogna preferire l'assegnazione ad uno di loro (tra quelli aventi diritto alla quota maggiore o a pia'¹ di loro, se fanno richiesta congiunta), dietro conguaglio (v. art. 720 c.c.); se nessuno e' disposto in tal senso, si procede con la vendita (v. art. 721 c.c.).
...o tramite azione legale
=> Domanda giudiziale per lo scioglimento della comunione ereditaria: come devono essere assegnate le quote?
In caso di disaccordo tra i comproprietari, patti e condizioni della vendita verranno stabiliti dal giudice. Dunque non potra' ad es. certamente scegliersi l'acquirente, o il prezzo.
Si potra' chiedere lo scioglimento giudiziale della comunione e, in quella sede, se sara' necessario, il bene verra' venduto secondo le norme in materia di espropriazione immobiliare del codice di procedura civile ed il ricavato verra' distribuito tra tutti (v. art. 788 c.p.c.).
Il rimedio dunque c'e' ma e' molto costoso, per cui va considerato come l'estrema, ultima spiaggia.
Il giudice potra' considerare tutti i passi suindicati quanto a divisione in natura e vendita.
Per completezza si aggiunge che il codice di procedura civile prevede oggi un altro rimedio, per i casi in cui non vi e' disaccordo sul diritto alla divisione ne' sulle quote o ad altre questioni pregiudiziali.
Si tratta del ricorso congiunto da parte dei comproprietari ex art.791-bis c.p.c., in seguito al quale viene affidato ad un professionista il compito di predisporre il progetto di divisione e di disporre la vendita dei beni non comodamente divisibili.
Compito che, in verita' , puo' essere affidato sempre, anche fuori dalle aule giudiziarie, ad un notaio scelto dalle parti o nominato dal tribunale (art. 730 c.c.).
Divisione e mediazione obbligatoria
Le controversie in materia di divisioni sono tra le materie per cui il D.Lgs. n. 28/2010 all'art. 5, prevede il tentativo, di mediazione civile obbligatorio, quale condizione, cioe', di procedibilita' della domanda giudiziale.
Per quanto secondo molti esso sia uno dei tipici casi di inutilita' della mediazione - soprattutto perche' non convince l'idea che venga imposto alle parti di cercare un accordo che certamente per anni esse hanno cercato e che quando si determinano all'azione giudiziale oramai, tutti i tentativi sono stati esperiti - in realta' , a parere di chi scrive, e' un passaggio che dovrebbe essere considerato con pia'¹ attenzione.
Innanzitutto, a parere di chi scrive, bisognerebbe cambiare prospettiva: se cioe' le parti arrivassero a considerare normale, non essendoci riuscite da sole, chiedere aiuto ad un terzo perche' faciliti l'accordo, non si potrebbe opporre pia'¹ l'argomentazione secondo cui 'le parti ormai si sono decise a fare causa': infatti, dovremmo dire cio' solo una volta fallito, anche, il tentativo di mediazione.
Inoltre, e soprattutto, l'accordo potrebbe soddisfare molto di pia'¹ dell'azione legale, potendo soddisfare maggiomente i desiderata dei singoli (sempre nelel rispetto delle norme) e a tempi e costi inferiori.