Regolamento di condominio, divieto di apertura delle strutture di cura e illegittimita' della delibera assembleare.
Il caso La proprietaria di un appartamento in condominio impugnava la delibera con la quale l'assemblea le aveva negato l'autorizzazione alla locazione del medesimo immobile a uno studio psicoterapeutico privato - in virta'¹ del divieto posto dal regolamento di destinare alloggi e locali dell'edificio ad uso di sanatorio e gabinetto di cura «per malattie infettive e contagiose» (nonchè ad uso di scuola di musica o di canto o di ballo, o a qualsiasi altro uso idoneo a turbare la tranquillita' dei condomini). Il Condominio, costituitosi in giudizio, eccepita preliminarmente la tardivita' della domanda di parte ricorrente per decadenza del termine di impugnazione di cui all'art. 1137 c.c., rilevava che, in ogni caso, la delibera contestata fosse stata revocata, all'unanimita' degli intervenuti, «in quanto adottata sulla base di erronee, imprecise, carenti e fuorvianti indicazioni della societa' attrice».
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La decisione Il Tribunale di Roma, sez. V, 11 con sentenza dell'11 maggio 2015, n. 10229, ha rilevato di dover dichiarare cessata la materia del contendere;nel pronunciarsi sulle spese processuali, l'organo giudicante ha tuttavia ritenuto di porle a carico del Condominio, considerato «virtualmente soccombente»: si e' infatti osservato, da un lato, che l'ente di gestione avesse illegittimamente negato l'autorizzazione alla ricorrente; dall'altro, che la delibera di revoca fosse intervenuta solo tardivamente, obbligando parte attorea ad intraprendere comunque un'azione giudiziaria per ottenere l'annullamento di detta delibera. Nel merito, il Tribunale ha infatti rilevato che l'amministratore di condominio fosse stato invero tempestivamente informato circa l'attivita' di diagnosi e consulenze psicologiche che il conduttore (un'associazione privata, senza scopo di lucro e alcun collegamento con la ASL) vi avrebbe svolto; e che, sulla base delle informazioni fornite, era da escludere che quell'attivita' potesse essere assimilata agli usi specificati dalla norma regolamentare invocata e dalla medesima vietati, oppure che detta attivita' potesse risultare lesiva della quiete della comunita' dei residenti - a causa magari di un flusso di persone non solo in misura assai superiore a quella conseguente ad un utilizzo residenziale del medesimo appartamento ma anche lesivo della sicurezza e della tranquillita' dei condomini. Al riguardo, si deve infatti tenere presente che, se la vincolativita' delle clausole regolamentari di natura contrattuale che pongono vincoli all'utilizzazione delle proprieta' esclusive e' pacificamente ammessa dalla giurisprudenza, in particolare laddove si tratti di norme volte a tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillita' e all'abitabilita' dell'intero edificio, tuttavia, nell'ipotesi in cui i divieti e le limitazioni siano formulati mediante il riferimento ai pregiudizi che si intende evitare, sara' necessario accertare «l'idoneita' in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare» (Cass., n. 1560 del 1995; Cass., n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994).
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