Spetta il diritto alla fruizione dei benefici fiscali sul mutuo contratto per l'acquisto dell'immobile adibito all'esercizio della professione in un comune diverso da quello ove si è stabilito la residenza. Anche in mancanza di una “espressa dichiarazione” nel rogito notarile.
Lo ha stabilito la sentenza della CRT di Roma n. 3460/2015 che ha respinto il ricorso dell'Agenzia delle entrate avverso la decisione della CTP capitolina che aveva dato ragione ad un professionista cui era stato negato dal Fisco il diritto alla fruizione dei benefici fiscali sul mutuo contratto per l'acquisto dell'immobile adibito all'esercizio della professione in un comune diverso da quello ove aveva stabilito la residenza.
Questi i fatti di causa. Ad un avvocato l'Agenzia delle entrate aveva revocato l'applicazione dell'aliquota ridotta dell'imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di immobili ad uso abitativo (con tanto di applicazione di sanzioni e interessi), sul rilievo che dal rogito notarile non si evinceva il rilascio da parte del contribuente dell'apposita dichiarazione dalla quale si desumesse l'intento di voler vincolare i benefici “prima casa” all'immobile adibito a studio professionale. L'avvocato quindi impugnava tempestivamente l'atto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma che riteneva sussistenti le condizioni per fruire dell'agevolazione “prima casa”. Impugnava la sentenza dei giudici di prime cure l'Agenzia delle entrate eccependo nuovamente la mancanza originaria dei presupposti per fruire dell'agevolazione dell'aliquota ridotta del 3%.
Secondo la CTR capitolina, invece, l'appello del Fisco andava respinto perché il legale aveva precisato di svolgere la propria attività a Roma già in epoca antecedente all'acquisto dell'immobile oggetto di mutuo “agevolato”, comunque non destinato a residenza ai fini abitativi.
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L'orientamento dei giudici capitolini appare del tutto condivisibile, sia perché aderente al diritto positivo e sia perché coerente con gli aspetti sostanziali dell'operazione sottoposta al suo vaglio. A bene vedere la legge non richiede, infatti, alcun onere dichiarativo ai quel contribuenti che già risiedono (o svolgono la loro attività) nel comune ove è ubicato l'immobile oggetto di acquisto agevolato. Nel caso opposto ed esplicitamente disciplinato dalla legge il contribuente è tenuto a rilasciare, come noto, una dichiarazione dalla quale si evinca espressamente, tra l'altro, di voler stabilire <<entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza>> nel comune ove è ubicato l'immobile <<o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività>>. Dunque, nel caso sottoposto al vaglio della Commissione regionale capitolina il contribuente svolgeva già la propria attività professionale nel comune (Roma) ove era ubicata l'unità immobiliare oggetto di “mutuo” agevolato e quindi nessuna dichiarazione era dovuta per la fruizione dei benefici di specie.
Il caso sottoposto al vaglio della Commissione Tributaria Regionale capitolina è invero non poco infrequente rientrando in quelle ipotesi di contestazione da parte dell'Agenzia delle Entrate della legittimità della fruizione delle agevolazioni “prima casa” per carenza ab origine dei presupposti tra cui rientra ad esempio, l'ipotesi dell'abitazione “di lusso” (con caratteristiche individuate dal DM 2 agosto 1969), non dissimili da quelle altrettanto poco infrequenti della mancanza sopravvenuta dei presupposti, qual è, ad esempio, il mancato trasferimento della residenza nel comune ove è ubicato l'immobile <<entro diciotto mesi>> dall'acquisto.
Sotto il profilo degli effetti vi è da dire però che solo in quest'ultimo caso il legislatore ha espressamente previsto, quale conseguenza della sopravvenuta mancanza dei presupposti, la decadenza dai benefici “prima casa” e, dunque, l'Agenzia delle Entrate potrà disporre con atto motivato soltanto il recupero della differenza, aumentata degli interessi, tra l'importo della tassazione dovuta in via ordinaria e quello agevolato ma non già l'applicazione di sanzioni (come chiarito a suo tempo nella Circolare n. 69/E del 14 agosto 2002) come nel caso di dichiarazioni mendaci.
Nelle ipotesi di dichiarazioni non veritiere o non corrette, in tutto o in parte, dovendosi più correttamente parlare di “revoca” delle agevolazioni, il Fisco constata con atto motivato la mancanza ab origine dei presupposti per la loro fruizione con conseguente recupero delle imposte nella misura ordinaria al netto di quanto già versato con l'applicazione però delle sanzioni e degli interessi di mora.
Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici romani, quindi, il professionista non era in nessuna delle ipotesi anzidette e, dunque, alcun recupero doveva essere disposto nei suoi confronti.
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