Il caso Dopo che alcune unita' immobiliari erano state adibite a clinica medica, con conseguente, rilevante aumento delle spese relative all'erogazione di acqua per tutto lo stabile, alcuni condomini agivano in giudizio, al fine di ottenere la sostituzione della clausola del regolamento condominiale che poneva il riparto per millesimi quale criterio per la determinazione delle singole quote delle spese relative all'impianto di acquedotto ed al consumo di acqua potabile.
Detto criterio di ripartizione - lamentavano gli attori - integrava una evidente menomazione dei diritti dei condomini, poichè non teneva in alcun conto la diversa destinazione d'uso delle unita' occupate.
La decisione: l''incompetenza' dell'autorita' giudiziaria Lapidaria la pronuncia: al giudice e' del tutto preclusa la possibilita' di superare la «volonta' dell'assemblea dei condomini, che e' sovrana».
Il regolamento condominiale - nel caso di specie, peraltro, un regolamento cd. esterno, in quanto predisposto dall'originario unico proprietario, e dunque di natura contrattuale - stabilisce espressamente che la ripartizione delle spese relative ai consumi di acqua avvenga sulla base delle quote millesimali; pertanto, l'autorita' giudiziaria non ha alcun potere modificativo del regolamento condominiale e dei criteri di riparto nel medesimo fissati.
L'obbligatorieta' della misurazione 'a consumo' Per la verita' , non si puo' fare a meno di osservare comela ripartizione per millesimi, sia pure sulla scorta di una previsione convenzionale che ponga esplicitamente tale criterio per la suddivisione delle spese, non appaia del tutto adeguata in fattispecie come la presente o in altre analoghe (Trib.
Milano, 6 febbraio 2018, n. 1280): essa non considera affatto l'effettivo consumo delle singole unita' immobiliari, nè consente di desumerlo, come accade, ad esempio, nell'ipotesi in cui il consumo dell'acqua venga rilevato in riferimento agli 'abitanti' delle proprieta' esclusive (sia pure in virtu' di un criterio meramente presuntivo), oppure nel caso in cui, piu' ragionevolmente, le spese vengano ripartite in proporzione all'uso che ciascuno puo' farne (art. 1123, comma 2, c.c.) - sebbene poi eventuali maggiorazioni di spesa dipendenti da un supposto maggior utilizzo concreto, quale quello dipendente da una destinazione dell'unita' immobiliare ad un'attivita' aperta al pubblico, possano ugualmente incappare in pronunce di manifesta irrazionalita' (Trib.
Monza 26 marzo 2001: il riferimento, in tale fattispecie, era ad una delibera assembleare con la quale era stato disposto che gli studi professionali o le sedi di attivita' commerciali pagassero il servizio di fornitura di acqua potabile comune in misura superiore a quello delle unita' abitative).