Diceva un tempo il buon caro vecchio Einstein (1879-1955) che e' piu' facile spezzare un atomo che un pregiudizio e ne aveva ben ragione considerata l'epoca in cui e' vissuto. Un'epoca, quella a cavallo tra le due guerre mondiali, che ha mostrato tutto l'orrore del pregiudizio e le conseguenze estreme che ad esso sono associate.
Il pregiudizio altro non e' che una valutazione precedente una relazione, il giudizio che precede un contatto, che necessariamente puo' essere influenzato da elementi che con la realta' hanno ben poco a che vedere.
L'orrore del genocidio, dell'olocausto e le estreme conseguenze di queste modalita' 'pregiudizievoli' hanno apparentemente debellato il razzismo, ma solo apparentemente, perchè nel profondo di ognuno di noi alberga perennemente un timore dell'altro, del diverso, dello sconosciuto che, connesso a doppia mandata all'evoluzione della specie, fa si che l'unica cosa che ad oggi sia cambiata e' la palese e diretta affermazione di razzismo: mentre un tempo si poteva manifestare apertamente l'odio razziale, a seguito delle estreme conseguenze che ha prodotto su scala mondiale il pregiudizio, oggi il razzismo e' cambiato semplicemente perchè non e' direttamente verbalizzato ma naviga sotto acqua e si manifesta in tutte quelle formule che cominciano con 'non sono razzista, pero''¦' Insomma non siamo meno razzisti, siamo solo piu' preoccupati di non sembrare razzisti.
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Questo discorso e' intorno a noi e si puo' applicare a qualsiasi contesto e non meno al contesto condominiale.
E se l'extracomunitario dell'immaginario comune, proprio lui, con la sua faccia nera e il pregiudizio stampato su una scritta sbiadita della sua felpa usurata e raggrinzita '¦ diventasse il nostro vicino di casa? Nella societa' attuale questa ipotesi non e' assolutamente una ipotesi ma una realta' concreta che balza quotidianamente agli onori di cronaca, che veicolano sempre e costantemente una immagine dell'extracomunitario a dir poco negativa, per cui nasce spontanea la domanda:
cosa faremmo se nel nostro condominio si trasferissero uno o piu' extracomunitari che trasportano con sè, gioco forza, perchè ne e' fondamento dell'identita' , per tutti, la propria cultura fatta anche di cibi dall'odore forte, o di abitudini completamente diverse dalle nostre? Come reagiremo?
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Probabilmente il nostro amministratore riceverebbe tantissime telefonate che inizierebbero con la frase 'non sono razzista pero''¦ il puzzo di cipolla e' insopportabile' oppure 'non sono razzista pero''¦ non si puo' sentire in piena notte quel lamento di preghiere incomprensibili' o ancora 'non sono razzista pero''¦ il crocifisso dall'androne non si tocca'; e questo sarebbe nei casi piu' felici, perchè, in realta' , se eliminiamo il condizionale dal discorso scopriamo che quella degli extracomunitari in condominio e' per gli amministratori una questione per niente ipotetica, scopriamo, se grattiamo la superfice del nostro bon ton razziale, che Il tema della convivenza culturale in un condominio e' stato il motivo di molte azioni protese all'abbattimento di questo problema.
Perchè diciamocela tutta non siamo razzisti pero''¦ l'extracomunitario e' per noi un problema, perchè un extracomunitario o comunque qualcuno di molto diverso da noi che viene a vivere vicino a noi e al nostro mondo perfetto e sicuro, come minimo ci urta, ci fa protestare; se poi questo qualcuno e' descritto in ogni dove come assassino, stupratore, ladro, usurpatore di posti di lavoro, di case, di privilegi allora non e' razzismo e' rivendicazione dei propri diritti.
L'extra comunitario in quanto extra, altro , diverso, sebbene in moltissimi di noi fortunatamente non causi reazioni violente, come minimo gode del nostro sospetto divenendo, giocoforza, un problema: un problema sul posto di lavoro, un problema per strada, un problema alla fermata dell'autobus un problema nel condominio.
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Nonostante tutti gli sforzi che compiamo per mostrarci non razzisti, innanzitutto ai nostri stessi occhi, in realta' tutti noi abbiamo difficolta' ad avvicinare qualcosa o qualcuno che sentiamo in qualche modo pericoloso e questo non perchè siamo cattivi, ma piuttosto perchè, di fatto, spesso, e nel caso di sentimenti razzisti sempre! in realta' quel qualcuno o qualcosa noi non lo conosciamo, e il nostro comportamento e' collegato alla percezione di scarso controllo che abbiamo ogni qualvolta qualcosa di nuovo attraversa il nostro spazio di vita o campo di azione.
Queste modalita' sono state ampiamente studiate dalla psicologia, in particolare la psicologia sociale che si e' interrogata sull'origine di ogni forma razziale, ovvero il pregiudizio e quindi su cio' che fonda il pregiudizio, ovvero gli atteggiamenti.
Il termine atteggiamento e' stato utilizzato per la prima volta nel 1918 da Thomas e Znanieckied essi identificavano nell'atteggiamento tutti quei 'processi della coscienza individuale che determinano l'azione', ritenendo quindi l'atteggiamento un elemento psichico fondamentale in quanto l'atteggiamento determina l'azioneed e' quindi l'antecedente del comportamento che assumeremo in relazione ad un oggetto.
Successivamente le due guerre mondiali, che del razzismo e del pregiudizio avevano fatto il loro presupposto, gli studi relativi gli atteggiamenti si orientarono a cercare di capire come modificare gli atteggiamenti proprio perchè, probabilmente, era necessario trovare una possibilita' scientifica per il contrasto ai pregiudizi e al razzismo, di conseguenza gli studi volti a modificare gli atteggiamenti finirono per definire con chiarezza cosa sia un atteggiamento.
Secondo Rosenberg e Hovland(1960) ogni atteggiamento che possediamo si basa su tre elementi:
In pratica, reagiamo ad uno stimolo non in base a cio' che e' ma in base a cio' che crediamo sia, ovvero in base alla rappresentazione che dello stimolo abbiamo e, se la rappresentazione si basa su credenze negative allora la nostra percezione(cognizione) , i nostri sentimenti (affettivita' ) ed infine le nostra reazioni (comportamento) saranno necessariamente negative.
Quindi in estrema sintesi per la attuale social cognition cio' che determina le azioni e' l'associazione che esiste in memoria tra la rappresentazione che abbiamo dello stimolo (cognizione e affetto) e la successiva valutazione che ne diamo di esso (positiva o negativa) questo determinera' , cio' che ne pensiamo e quindi il nostro comportamento o atteggiamento in relazione ad esso.
Piu' e' forte l'associazione tra rappresentazione e valutazione piu' questa e' difficile da scardinare.
Se da ogni dove ci giungono informazioni legate a
Quindi in estrema sintesi per la attuale social cognition cio' che determina le azioni e' l'associazione che esiste in memoria tra la rappresentazione che abbiamo dello stimolo (cognizione e affetto) e la successiva valutazione che ne diamo di esso (positiva o negativa) questo determinera' , cio' che ne pensiamo e quindi il nostro comportamento o atteggiamento in relazione ad esso.
Piu' e' forte l'associazione tra rappresentazione e valutazione piu' questa e' difficile da scardinare.
Se da ogni dove ci giungono informazioni legate agli extracomunitari come stupratori, assassini, ladri e chi piu' ne ha, piu' ne metta, come potremmo mai sentirci colpevoli se alla sola vista di un extracomunitario scatta il nostro sistema di difesa? E' umano e naturale difenderci come minimo con il sospetto, la diffidenza e l'evitamento, da qualcosa che abbiamo appreso essere negativo, allora perchè dovremmo sentirci razzisti se alla sola vista di un extracomunitario scattano in noi questi sentimenti? Della serie non sono razzista pero''¦ la prudenza non e' mai troppa.
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Messa in questi termini sembra che la situazione sia impossibile da modificare, per fortuna gli studi sulla formazione degli atteggiamenti hanno dimostrato che la rappresentazione che l'individuo ha di uno stimolo si formi in questi tre modi:
1 - esperienza diretta;
2 - osservando l'esperienza altrui;
3 - attraverso la comunicazione ovvero cio' che dello stimolo ci viene raccontato.
Sul piano puramente teorico solo il primo tipo di rappresentazione, ovvero l'esperienza diretta, genera un legame associativo forte tra rappresentazione e valutazione, mentre gli altri due sono legami deboli molto piu' semplici da estirpare; eppure, se riflettiamo, tutte le nostre paure in relazione agli extracomunitari difficilmente derivano dalla prima modalita' .
Evidentemente in una societa' invasa dai mass media, che all'epoca di questi studi non esistevano ancora a livelli tanto capillari, non e' stato considerato che la reiterazione costante di un 'sentito dire' puo' divenire cosa'¬ potente da creare un legame tra rappresentazione e valutazione tanto forte quanto quello connesso all'esperienza diretta, anche se non potra' mai essere cosa'¬ forte come quest'ultima, al punto che, sicuramente, quelli di noi piu' aperti al nuovo, allo sconosciuto, o piu' semplicemente maggiormente avventurosi, ad un certo punto possono superare il timore dello sconosciuto o del conosciuto per sentito dire e si possono aprire ad esperienze dirette.
Ecco perchè tutte le iniziative volte all'eliminazione dei pregiudizi passano per lo scambio, l'interazione con questi individui che tanto destano sospetto.
Questo discorso vale in generale e vale ancora di piu' per il condominio dove si verifica un altro movimento specifico. Il condominio e' per antonomasia il luogo dove la questione dell'altro, che sia o no extra, e' una questione quotidiana, questo perche' lo spazio comune tra persone diverse, anche della stessa etnia, e' sempre causa di possibili liti e scontri, nella maggior parte dei condomini ci sono liti, dal posto auto all'uso dell'ascensore etcetc etc perchè, in termini psichici, il condominio non e' un gruppo che ha uno scopo comune o unito per far qualcosa insieme, ma e' un gruppo di persone che si trovano a vivere vicine le une alle altre senza nemmeno essersi scelte per cui la coesione e' gia' di per sè un traguardo difficile da raggiungere, se questo aspetto viene inasprito dalla presenza di un extracomunitario si assiste ad un effetto paradosso.
Nel momento in cui un membro esterno, come un extracomunitario per altro oggetto di pregiudizio, entra a far parte di un contesto condominiale conflittuale assistiamo ad una sorta di schieramento: tutti i condo'mini prima in conflitto sembrano essere d'accordo su un obiettivo comune, puntare il dito contro il nuovo membro.
Ed ecco che vicini di casa che prima non si conoscevano in viso, si ritrovano sul pianerottolo a scambiarsi con circospezione, a bassa voce opinioni e giudizi sull'ultima malefatta del nuovo, cosmopolita, colorato, condo'mino.
Perchè accade questo? Ha a che fare, secondo gli studi di Merton, con l'identita' sociale.
Le persone cercano la loro identita' sociale nell'appartenenza, anche ideale, ad un gruppo con cui condivide i valori, le caratteristiche ed i tratti.
Riconosce quindi i membri del gruppo come 'vicini' (in-group) ed associa a questo gruppo caratteristiche positive.
Tutte le persone che sono diverse, distanti nei principi, opposte nei valori vengono racchiuse in un altro gruppo, un insieme di 'estranei'( out-group) al quale vengono associate caratteristiche negative e che viene allontanato in misura direttamente proporzionale a quanto e' diverso nei valori e nei tratti.
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Molto spesso, un gruppo non coeso diventa ''in-group' in presenza di un 'out-group' contro il quale unirsi ed appianare. In pratica un extracomunitario all'interno di un condominio non risente solo del pregiudizio ma anche dell'effetto pecora nera che di fatto unisce apparentemente un gruppo che in realta' non e' coeso ma ha solo designato un nemico comune da combattere.
In pratica l'avvento di un extracomunitario attiva risposte automatiche che possono sfociare in atteggiamenti espulsivi di dolorosa gestione per tutti, per l'extracomunitario, per i condomini e per l'amministratore chiamato spesso a fare da arbitro.
Insomma, non siamo razzisti pero''¦ e' piu' facile spezzare un atomo che un pregiudizio, e questo e' vero ovunque anche in condominio.
Dottoressa Valeria Ria
Psicologa- Psicodiagnosta