Le restituzione di un immobile, dato in comodato d'uso, non puo' essere sempre immediata salvo la sopravvenienza di un urgente bisogno.
I fatti. La proprietaria di un immobile sito a Cecina concedeva, nel 2008, lo stesso in comodato al proprio figlio ed alla di lui compagna per sistemazione provvisoria data dalla nascita di un figlio, onde consentire alla coppia di trovare , in breve tempo, una diversa collocazione.
Si pattuiva, nell'ambito del comodato, che una stanza dell'immobile sarebbe, comunque, rimasta a disposizione della proprietaria la quale poteva usufruirne in qualsiasi momento, senza necessita' di preavvisare i comodatari, avendo la stessa bisogno di aria marina per la cura di patologie.
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Nel 2011 la proprietaria dell'immobile proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Livorno evocando in causa il di lei figlio e la propria compagna chiedendo l'immediata restituzione dell'immobile concesso in comodato, nonchè il risarcimento del danno, in quanto i convenuti, contravvenendo agli accordi pattuiti, non avevano consentito alla proprietaria di utilizzare una stanza dell'immobile ma, anzi, gliene avevano impedito l'accesso.
Contestualmente la proprietaria chiedeva la restituzione di somme dalla stessa anticipate per i consumi idrici effettuati dai convenuti. Si costituiva in giudizio la comodataria (compagna del figlio della ricorrente) contestando gli assunti di quest'ultima e rilevando l'inapplicabilita' , nel caso di specie, della disciplina del recesso immediato, ai sensi dell'art. 1810 cod. civ., in quanto l'immobile era stato concesso in comodato per esigenze familiari e soggetto, pertanto, ad un termine implicito determinato dall'uso del bene.
La comodataria contestava, inoltre, la produzione documentale medica della ricorrente e chiamava in causa il figlio di questa al fine di essere manlevata dalle pretese di restituzione della ricorrente.
Le domande proposte dalla proprietaria dell'immobile venivano rigettate in primo grado; le risultanze del giudice di prime cure venivano confermate in sede d'appello (Corte d'Appello di Firenze sent. n. 1805/2013). La proprietaria dell'immobile, pertanto, ricorreva in Cassazione.
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La sentenza. La ricorrente, a sostegno del ricorso in Cassazione indicava i seguenti motivi:
1.Violazione di legge - erronea applicazione delle norme di diritto (art. 360 comma 1 n. 3 cpc): La Corte d'Appello non avrebbe correttamente esaminato ed interpretato l'accordo posto a base del contratto, per il quale risultava che l'immobile era stato concesso in comodato al solo figlio, con riserva per sè di parte dell'immobile e risolvibile a richiesta della comodante.
2.Violazione di legge - erronea applicazione delle norme in tema di comodato (artt 1809 -1810 cod. civ): L'esatta interpretazione delle norme sul comodato avrebbe portato a ritenere che il termine al contratto mancava e non era, comunque, desumibile implicitamente dall'uso del bene.
3.Omessa valutazione di fatti e/o documenti decisivi per il giudizio (art. 360 comma 1 n. 5 cpc): la Corte d' Appello ometteva di valutare la documentazione prodotta dalla ricorrente circa l'accordo relativo all'utilizzo, per sè, di una stanza dell'immobile nonche' l'utilizzo della stessa in qualsiasi momento escludendo, in tal modo, la destinazione del bene ad esigenze familiari.
4.Violazione di legge del DPR n. 115/2002 circa la mancata indicazione dei criteri adottati per la liquidazione delle spese legali in favore della comodataria ammessa al gratuito patrocinio.
La Corte di Cassazione, esaminati i motivi dedotti, perveniva alle seguenti conclusioni: dagli atti del procedimento d'appello si evinceva in modo pacifico che l'immobile era stato destinato all'uso familiare affinche' la coppia vi risiedesse per far fronte alle proprie esigenze e che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova circa la mancata fissazione di un termine di comodato.
Cio' posto, si riteneva che in caso di comodato avente ad oggetto un immobile destinato ad esigenze familiari, il termine si ricava implicitamente dall'uso cui l'immobile stesso e' destinato: un comodato come quello in esame viene, generalmente, stabilito senza un preciso termine di durata proprio in vista delle suddette esigenze familiari, per le quali spesso non e' possibile prefissare un termine.
Ne deriva che il comodante non puo' pretendere immediatamente ' ad nutum' la restituzione dell'immobile dal comodatario non potendo - evidentemente - far dipendere la cessazione del vincolo di coppia (che determina le esigenze familiari) dalla propria volonta' .
Solo in un caso - afferma la Corte - e' possibile consentire al comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile, cioe' in caso di 'sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno' ai sensi dell'art. 1809 2 comma cod. civ.
Si osserva, a tal proposito, che e' proprio all'art. 1809 2 comma cod. civ. che, in assenza di pattuizioni sul termine finale di godimento dell'immobile, va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per soddisfare le esigenze abitative del comodatario e della propria famiglia.
Si tratta, in parole povere, di una forma di comodato 'a termine indeterminato'ossia un termine non prefissato ma implicitamente desumibile dall'uso del bene.
Quanto al motivo sollevato sulle spese, la Corte osserva che esso e' inammissibile per difetto di specificita' : la ricorrente indica, infatti, in modo assolutamente generico le voci contestate.
La Corte, pertanto, rigetta il ricorso con condanna alle spese della ricorrente.
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