Il promittente venditore che non ultima i lavori di costruzione di una casa è obbligato alla restituzione del doppio della caparra versata dal promissario acquirente se non fornisce la prova che l'inadempimento è dovuto a causa ad egli non imputabile.
Dopo aver stipulato un contratto preliminare avente ad oggetto la compravendita di un immobile in corso di realizzazione il promissario acquirente cita in giudizio il promittente venditore sostenendo:
- di aver stipulato un contratto preliminare per l'acquisto di un immobile e di aver versato la caparra;
-che con lo stesso contratto il venditore si obbligava a portare a termine i lavori ancora necessari;
- che alla data fissata nel contratto tali lavori non erano stati ultimati dal venditore che, malgrado il sollecito, si rifiutava di concludere il contratto definitivo a causa di imprecisati problemi amministrativi con il Comune.
A fronte di tali circostanze il promissario acquirente cita in giudizio il promittente venditore esercitando il diritto di recesso ed esigendo il doppio della caparra versata secondo quanto sancito dal secondo comma dell'art. 1385 c.c. che in tema di caparra confirmatoria dispone che sé inadempiente “ è la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”.
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Il promittente venditore si costituisce sostenendo:
a) che il contratto non prevedeva alcun termine per l'ultimazione dei lavori;
b) che non era stato possibile concludere i lavori a causa delle rilevanti continue modifiche che il promissario acquirente aveva richiesto rispetto a quanto originariamente pattuito (distribuzione dei vani interni, ampliamento mansarda, individuazione dei materiali di completamento come mattonelle ed accessori per i bagni), e pertanto esplicava domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.
La sentenza del Tribunale di Perugia accoglie la richiesta dell'attore promissario acquirente in base alle motivazioni che seguono:
la parte attrice ha adeguatamente dimostrato la fonte negoziale del suo diritto (contratto preliminare) che obbligava il promittente venditore tanto alla conclusione del contratto definitivo quanto alla conclusione dei lavori all'immobile oggetto del contratto entro il termine fissato dalle parti;
per quanto riguarda la posizione del promittente venditore (convenuto), egli avrebbe potuto sottrarsi agli obblighi derivanti da tale rapporto contrattuale solo se avesse dimostrato che il ritardo nella stipula del contratto definitivo era stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
In tal modo la sentenza aderisce all'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “il creditore, che agisca per l'adempimento, sia che chieda la risoluzione o il risarcimento del danno, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre, in relazione al lamentato inadempimento, può limitarsi ad una semplice allegazione: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costitutivo dell'avvenuto adempimento, e uguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione d'inadempimento ex articolo 1460 c.c….” ( Cass. sez. Un., 30.10.2001 n. 13533)
Dunque tenendo conto che il promissario acquirente aveva fornito prova della fonte negoziale del diritto vantato, mentre il promittente venditore non ha dimostrato in alcun modo la fondatezza delle sue affermazioni Il Tribunale accoglie le richieste del promissario acquirente e condanna del venditore alla restituzione all'acquirente del doppio della caparra versata.
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