La vicenda. Tizio e Caia convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Vigevano il conduttore di un locale in qualita' di autore delle immissioni sonore intollerabili provenienti dal locale sottostante la loro abitazione.
Gli attori convenivano in giudizio altresa'¬ Sempronio e Mevia in qualita' rispettivamente di proprietario e usufruttuaria del locale.
Nel dettaglio gli attori chiedevano, in nome proprio e in nome della figlia minorenne, che le parti convenute fossero condannate al pagamento del risarcimento del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale causati dalle immissioni sonore intollerabili prodotte durante l'esercizio dell'attivita' commerciale.
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Costituitosi in giudizio, il conduttore chiedeva il rigetto della domanda, mentre Sempronio e Mevia deducevano la propria carenza di legittimazione passiva e comunque l'inammissibilita' e l'infondatezza delle domande attrici.
Il giudice di primo grado, dopo aver accertato che le immissioni intollerabilierano state prodotte durante il periodo di locazione del locale commerciale, condannava il conduttore al pagamento del risarcimento del danno biologico a favore della figlia degli attori, nonchè al pagamento del risarcimento del danno morale e esistenziale e del conseguente danno patrimoniale per le spese mediche sostenute.
Il danno veniva ripartito tra i convenuti nel seguente modo: il settanta per cento veniva addebitato a carico del conduttore mentre il trenta per cento veniva addebitato a carico di Sempronio e Mevia.
La decisione del Tribunale veniva quindi impugnata dalle parti soccombenti davanti alla Corte di Appello di Milano che riformava solo parzialmente la decisione. Nello specifico, i giudici meneghini ritenevano che fosse stato pienamente provato il danno esistenziale collegato alla salubrita' ambientale e causato dall'alterazione dei ritmi di vita a seguito delle ripetute e costanti immissioni sonore.
I giudici tuttavia ritenevano che detto danno dovesse essere addebitato esclusivamente a carico del conduttore in quanto il proprietario e l'usufruttuaria del locale non avevano alcuna corresponsabilita' in ordine alla propagazione delle immissioni sonore.
Piu' nello specifico, la Corte asseriva che 'non esiste un principio di diritto, aldila' delle specifiche pattuizioni delle parti, secondo il quale il proprietario di un immobile che concede in locazione il bene sia gravato dall'obbligo di eseguire delle modifiche sullo stesso per il fatto che sia destinato ad una particolare utilizzazione o destinazione commerciale, tali da richiedere che esso sia dotato di determinate caratteristiche'.
Affinchè possa essere individuato un margine di responsabilita' a carico del proprietario occorre che le modifiche o le trasformazioni siano poste espressamente a suo carico nel contratto di locazione.
Ne consegue che la semplice indicazione della destinazione dei locali nel contratto di locazione non e' sufficiente a far sorgere automaticamente tale obbligazione in capo al proprietario.
Inoltre, la Corte negava il risarcimento del danno biologico per mancanza di evidenza probatoria del danno medesimo.
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La questione giuridica. Il tema sottoposto al vaglio degli ermellini intercetta la nota questione delle immissioni intollerabili ai sensi dell'art. 844 cod. civ., quale ipotesi dell'abuso del diritto applicato al diritto di proprieta' .
Come noto, tale questione giuridica ha posto molteplici interrogativi giurisprudenziali in ordine al confine della legittimazione attiva e della legittimazione passiva dell'azione di cui all'art. 844 cod. civ., qualificata ormai pacificamente come una azione di natura reale a tutela del diritto di proprieta' .
In ordine alla legittimazione passiva, con sentenza n. 15871 del 12 luglio 2006, la Corte di Cassazione ha chiarito che 'nell'ipotesi in cui le immissioni di cui all'art. 844 cod. civ. siano causate dal locatario del fondo contiguo la domanda va proposta nei confronti del proprietario quando (..) comporti una richiesta di modificazione dello stato dei luoghi, altrimenti qualora l'azione sia direttaalla mera rimozione di una situazione lesiva o a fare cessare un'attivita' e abbia, dunque, natura personale, legittimato passivo e' soltanto il locatario, quale autore delle immissioni'.
Maggiori dubbi ermeneutici sono sorti in relazione al soggetto legittimato passivo contro cui esperire l'azione di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale causato dalla produzione di immissioni intollerabili.
In particolare, rispetto a tale quesito, la giurisprudenza ha indagato caso in cui potesse essere ascritta la responsabilita' aquiliana oltre che in capo al conduttore, anche in capo al proprietario del locale.
La pronuncia piu' risalente sul tema e' rappresentata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 318 del 24 gennaio 1985.
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In detta occasione, gli ermellini hanno statuito che 'in tema di azione personale di risarcimento del danno da immissioni (intollerabili) ai sensi dell'art. 844 c. c., va riconosciuta la legittimazione passiva del proprietario del fondo da cui provengono le immissioni stesse, ancorchè queste derivino solo dalle particolari modalita' di uso del fondo da parte del conduttore del medesimo, quando sussiste il nesso oggettivo di causalita' e non di mera occasionalita' tra la condotta del proprietario e l'evento dannoso, e risulti, altresa'¬, che l'eccedenza delle immissioni, rispetto ai limiti legali, sia imputabile a sua colpa per avere concesso il fondo in locazione con la consapevolezza della destinazione dello stesso ad attivita' di per sè molesta ai vicini e per non avere adottato alcun provvedimento idoneo ad indurre il conduttore ad apportare le modifiche e gli adattamenti necessari per eliminare le immissioni intollerabili '.
In sostanza, secondo tale approccio ermeneutico, le immissioni intollerabili comporterebbero una responsabilita' oggettiva in capo al proprietario in quanto basterebbe la consapevolezza da parte sua della destinazione commerciale per consolidare a suo carico una sorta di colpa in vigilando.
Tale impostazione e' stata tuttavia superata dalla giurisprudenza piu' recente che, al contrario, ha ritenuto necessario fondare la responsabilita' del proprietario alla luce dei principi di imputazione soggettiva della responsabilita' aquiliana.
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La decisione della Corte di Cassazione. Investita della questione a seguito della impugnazione della sentenza emessa dalla Corte meneghina, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze esposte dai ricorrenti Tizio e Caia.
In particolare, la Corte ha ritenuto che la decisione della Corte di Appello non fosse eccepibile nella parte in cui aveva negato la risarcibilita' del danno biologico lamentato dalla figlia dei ricorrenti. Invero la documentazione prodotta in giudizio si limitava all'esibizione di alcuni certificati medici in cui non emergeva un nesso di causalita' diretto tra i danni lamentati e le immissioni sonore.
Parimenti, la Corte ha ritenuto infondata la doglianza dei ricorrenti relativa al mancato riconoscimento di una responsabilita' solidale nella causazione del danno non patrimoniale tra il conduttore, il proprietario e l'usufruttuario del locale.
A tal proposito, gli ermellini hanno addotto a sostegno della propria decisione i consolidati principi giurisprudenziali in tema di responsabilita' aquiliana. Piu' nello specifico, i giudici hanno statuito che l'azione volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale, di natura morale o materiale, cagionato dalle immissioni va proposta secondo i principi della responsabilita' aquiliana e cioe' nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilita' .
Uniformandosi al prevalente orientamento giurisprudenziale sul punto e, in particolare alla piu' recente pronuncia della medesima Corte del 28 maggio 2015 n. 11125, la Corte ha affermato che la domanda risarcitoria nei confronti dei proprietari del locale, potrebbe essere proposta 'solo se essi avessero concorso alla realizzazione del fatto dannoso, quali autori o coautori dello stesso, mentre il solo fatto di essere proprietari, ancorchè consapevoli, ma senza alcun apporto causale al fatto dannoso, non e' idoneo, neppure in astratto, a realizzare una loro responsabilita' o corresponsabilita' aquiliana'.
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Cassazione_2668_2018.pdf