L'esistenza di una piscina ad uso esclusivo nella “prima casa” rappresenta un elemento idoneo in astratto a configurare il carattere di lusso di un'abitazione (ai sensi del D.M. 2.8.1969 art. 4) che non consente di fruire dell'IVA agevolata all'atto dell'acquisto.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione sesta Sezione civile, con sentenza n. 21908 del 27 ottobre 2015.
Questi i fatti di causa. Una contribuente aveva acquistato un immobile destinato a prima casa all'interno di un complesso residenziale e l'Agenzia delle Entrate di Catania aveva proceduto al recupero della maggiore IVA contestando la decadenza delle agevolazioni fruite ritenendo che nella circostanza non ricorressero le condizioni. L'atto veniva impugnato innanzi al giudice di primo grado che, in relazione alle perizie giurate di tecnici allegate dalla contribuente, accoglieva il ricorso ritenendo che nel caso sottoposto al suo vaglio non ricorrevano le caratteristiche delle abitazioni di lusso (di cui agli artt. 4 e 6 del D.M. dei Lavori pubblici del 2.8.1969).
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L'Agenzia delle Entrate proponeva allora appello alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che lo rigettava con sentenza n. 127/34/13 del 12.3.2013 sul rilievo che l'immobile oggetto di acquisto con IVA agevolata non poteva essere considerato di lusso perché né la superficie e né la cubatura raggiungevano rispettivamente i limiti di 240 mq e di 2000 mc previsti dal D.M. del 1969.
L'Agenzia quindi ricorreva per Cassazione che accoglieva il ricorso ritenendo che la CTR non aveva in alcun modo dato rilievo alla circostanza sottoposta al suo vaglio che l'immobile dei contribuenti era dotato di una piscina ad uso esclusivo della superficie di 89 mq e che rappresentava un elemento <<inastratto idoneo a configurare il carattere di lusso di un'abitazione ai sensi del D.M. 2.8.1969 art. 4>>.
Pertanto, secondo i giudici di legittimità l'operazione era stata erroneamente assoggetta e fatturata ad aliquota ridotta del 4% (anziché a quella ordinaria) dalla società che aveva realizzato il complesso residenziale (anch'essa raggiunta da un avviso di accertamento dell'Agenzia competente) e, vertendosi in tema di IVA, risultava anche corretta l'emissione da parte dell'Ufficio dell'avviso della liquidazione della maggiore imposta direttamente nei confronti dell'acquirente in quanto <<l'applicazione dell'aliquota inferiore da parte del venditore dell'immobile è derivata da una dichiarazione mendace dell'acquirente, la quale istituisce – ai sensi dell'art. 1 della nota II-bis della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 … un rapporto diretto tra l'acquirente stesso e l'Amministrazione finanziaria>>. Orientamento quest'ultimo confermato anche da altre pronunce dei giudici di legittimità (n. 26259/2010 e n. 10807/2012).
Già in un caso analogo a quello in commento i giudici di legittimità (sentenza n. 12517 del 22 maggio 2013) avevano ritenuto che la piscina posta a corredo di un immobile (nel caso specifico di oltre 260 mq) è <<incompatibile con le caratteristiche abitative asseritamente non di lusso di un'abitazione monofamiliare>>.
Invero, il caso sottoposto al vaglio dei giudici di merito siciliani non è infrequente rientrando in quelle ipotesi di contestazione da parte dell'Agenzia delle Entrate della legittimità della fruizione delle agevolazioni “prima casa” per carenza ab origine dei presupposti tra cui appunto rientra l'ipotesi dell'abitazione “di lusso”.
A differenza di quest'ultima ipotesi, solo nei casi (altrettanto meno frequenti) di mancanza sopravvenuta dei presupposti (ad esempio il mancato trasferimento della residenza nel comune ove è ubicato l'immobile <<entro diciotto mesi>> dall'acquisto) il legislatore ha espressamente previsto, quale diretta conseguenza, la decadenza dai benefici “prima casa”, legittimando l'Agenzia delle Entrate a disporre con atto motivato il recupero soltanto della differenza, aumentata degli interessi, tra l'importo della tassazione dovuta in via ordinaria e quello agevolato ma non anche l'applicazione di sanzioni (come chiarito a suo tempo nella Circolare n. 69/E del 14 agosto 2002) come nel caso di dichiarazioni mendaci in conseguenza delle quali si dovrebbe più correttamente parlare di “revoca” delle agevolazioni da parte dell'Ufficio finanziario.
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