La satira non risulta aggressiva nè infamante anche quando il professionista viene ritratto come Pinocchio per aver prospettato inesistenti sgravi fiscali per i parcheggi.
“Non commette diffamazione l'autore di volantini satirici rivolti all'amministratore di condominio che mettono in risalto le sue incompetenze, ma senza assumere caratteri umilianti nè offensivi.”.
Questo e' il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza n.41785 del 5 ottobre 2016 in merito al delitto di diffamazione.
I fatti di causa. Con sentenza, il Tribunale di Bologna confermava la pena e il risarcimento del danno nei confronti di Tizio imputato per i delitti di cui agli articoli 594 e 595 c.p., avvenuti in ambito condominiale nei confronti dell'amministratore.
In secondo grado, veniva annullata la sentenza in relazione all'art. 594 c.p. (ingiuria), con rinvio ad altro giudice del Tribunale per la rideterminazione della pena in relazione al delitto di cui all'art. 595 c.p. (diffamazione).
Avverso tale pronuncia, l'imputato promuoveva ricorso per cassazione.
La diffamazione in condominio. L'art. 595 c.p., prevede al primo comma che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (reato di ingiuria oggi depenalizzato), comunicando con pia'¹ persone, offende l'altrui reputazione, e' punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032”.
La diffamazione e' un reato che si consuma quando un individuo, parlando con altre persone, divulga notizie che offendono la reputazione di una terza persona assente.
Sono tre gli elementi costitutivi del reato previsto e punito dall'art. 595 del Codice Penale:
Quest'ultimo punto e' l'elemento che differenzia la diffamazione dall'ingiuria, reato che invece si consuma con l'enunciazione di frasi infamanti in presenza della persona offesa.
Oggetto giuridico tutelato da questa norma e' la reputazione personale intesa come il giudizio o la stima di cui l'individuo gode nell'ambiente sociale.
Va precisato che la Cassazione riti
Oggetto giuridico tutelato da questa norma e' la reputazione personale intesa come il giudizio o la stima di cui l'individuo gode nell'ambiente sociale.
Va precisato che la Cassazione ritiene che l'offesa alla reputazione non e' circoscritta al solo ambito personale, ma puo' consistere nell'aggressione alla sfera del decoro professionale (Cass. Pen. Sez. V, n. 5945/1982).
Nell'argomento in esame, particolare importanza assume un precedente giurisprudenziale (Corte di Cassazione con la sentenza n. 9843 del 28 febbraio 2014).
In particolare, nella fattispecie in esame, un condomino, parlando con due persone, dava del ladro al suo amministratore, senza sapere che tali persone erano i suoceri dell'amministratore.
Ne conseguiva un processo penale nel quale l'imputato si difendeva sostenendo che non si configurava alcun reato perchè la frase era stata pronunciata, in sua assenza, solamente davanti a due persone.
Gli ermellini, pero', non si sono dimostrati dello stesso avviso e, nel condannarlo, hanno ricordato che per aversi diffamazione, infatti, e' necessario che l'autore 'comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalita' che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento'.
In altro precedente (Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 12209 del 13/03/2014) due soggetti erano stati condannati per il reato di diffamazione compiuto nei confronti di un soggetto, colpevole (a loro dire) di essere un pessimo amministratore di condominio.
Sul punto in esame, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che esiste, e va riconosciuto ed applicato, un diritto di critica, grazie al quale il fatto, pur inquadrabile come reato, resta tuttavia impunito; sicchè “per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, e' necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicita' ”.
Il ragionamento della Corte di Cassazione.
Nella fattispecie in esame,l'imputato era riconosciuto come l'autore di alcuni volantini indirizzati all'amministratore, dal contenuto ironico e che tramite vignette satiriche tratteggiavano la “vittima”, mettendo in evidenza gli errori commessi ai danni dei condomini, in particolare, riguardo a presunte detrazioni fiscali sulle spese per il parcheggio; fatto, tra l'altro, vero, dato che l'imputato era stato informato dal fisco sull'impossibilita' di tali detrazioni.
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Premesso cio', con la pronuncia in commento, gli ermellini sono stati in disaccordo con la decisione di merito, in quanto, l'imputato ha legittimamente agito usando il diritto di critica sotto forma di satira.
In particolare, diversamente dalla sentenza di appello che giudicava i volantini «ingiuriosi e diffamatori» e finalizzati a mettere in dubbio la professionalita' dell'amministratore, la Suprema Corte ha sottolineato che, al di la' della forma, le comunicazioni «reputate diffamanti» facevano chiaramente riferimento «all'ignoranza» dell'amministratore delle leggi fiscali, da cui sarebbe derivato un danno ai condomini, a causa delle errate informazioni loro fornite circa la possibilita' di detrarre fiscalmente una quota delle spese sostenute per il parcheggio.
Quanto alla vignetta (denigratoria) che paragonava l'amministratore a Pinocchio, dandogli, con implicita ma chiara allusione, del bugiardo, il collegio, ha ritenuto che “la satira usata dall'imputato non aveva assuntocaratteri in sè infamanti e/o umilianti, nè appariva carica di significati aggressivi verso la persona dell'amministratore, riferendosi esclusivamente al suo operato in quanto tale, ritenuto sbagliato in relazione alla circoscritta questione fiscale di interesse del condominio”.
Ne consegue che in tema di diffamazione, sussiste l'esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un'argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui.
(In tal senso Cass. Penale n. 5695 del 6 febbraio 2015)
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione Penale con la pronuncia in commento ha accolto il ricorso di Tizio e per l'effetto ha annullato la sentenza senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.
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