Sono sempre piu' i casi in cui all'interno dello stabile condominiale, per lo piu' al piano terra, si insediano locali commerciali che spesso minano, con la propria attivita' , la tranquillita' dell'habitat condominiale. Ma tali attivita' , svolte nel contesto condominiale, sono lecite? Se sa'¬, a quali condizioni?
Si ricorda che il regolamento condominiale, in qualita' di statuto interno del condominio, oltre a contenere norme che disciplinano l'uso delle cose comuni, il decoro dello stabile, la sua amministrazione, la ripartizione delle spese, potrebbe, altresa'¬, contenere eventuali limitazioni alle facolta' d'uso delle singole unita' immobiliari.
Proprio in relazione a tale ultimo aspetto, la Suprema Corte ha affrontato, a piu' riprese, la questione,ribadendo che i divieti d'uso delle unita' immobiliari, contenuti nelle clausole del regolamento di condominio, devono essere esplicitati chiaramente.
Tale limitazione puo' essere fatta in due modi:
Nel primo caso, il divieto e' espresso a priori, quindi l'utilizzo ipotizzato non potra' essere fatto, se corrispondente ad uno di quelli vietati. (esempio: in caso di divieto di adibire i locali commerciali posti al piano terra dell'edificio ad attivita' ristorative il proprietario non potra' nè direttamente, nè indirettamente (es. concedendo in affitto l'unita' immobiliare) destinare il proprio locale a pizzeria, ristorante, trattoria ecc. )
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Nel secondo caso, bisognera' sempre valutare in concreto il Regolamento di condominio effettiva lesione degli interessi protetti. In tale ipotesi, per esempio, si potra' dire che sono vietate tutte le attivita' che possano recare disturbo alla tranquillita' , alla serenita' , al riposo delle persone o che comportino odori sgradevoli.
In questo caso, e' evidente, che poche attivita' , quanto meno a priori, possano dirsi lesive di questi interessi. E' chiaro, quindi, che la valutazione deve essere fatta sempre in concreto.
Sulla base di tali presupposti, ulteriore chiarezza ai quesiti posti, e' fatta dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4962 del 08.03.2018.
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Fatti di causa. Il condominio Gamma conveniva in giudizio Tizia, proprietaria di un appartamento sito al piano terra dello stabile condominiale, nonchè la societa' Alfa, conduttrice dello stesso.
I motivi di doglianza del condominio attore si basavano sul fatto che l'attivita' svolta dalla societa' conduttrice - consistente nella creazione, produzione e commercializzazione di apparecchiature e programmi informatici -comportava, per tutta la giornata, un notevole afflusso di fornitori, clienti e mezzi per lo scarico del materiale con conseguenti intollerabili disagi per gli altri condomini.
Il condominio lamentava, inoltre, anche la palese e reiterata violazione del regolamento condominiale in ordine al divieto imposto dallo stesso ''¦di qualsiasi uso contrario al decoro e al buon nome del complesso residenziale'¦'.
Gli ermellini non hanno pero' accolto la domanda proposta. La decisione della Suprema Corte e' opportuno analizzarla evidenziando due aspetti.
Sotto un primo profilo,giova ricordare che il condomino che abbia locato la propria unita' abitativa ad un terzo risponde nei confronti degli altri condomini delle ripetute violazioni al regolamento condominiale consumate dal proprio conduttore.
Da tale osservazione si comprende che, se le violazioni in parola non costituiscono illecito sotto altro profilo, queste non sono perseguibili direttamente dal condominio o dagli altri condomini non essendo il conduttore obbligato direttamente verso di loro all'osservanza del regolamento.
Si ricorda, infatti, che in astratto e' sempre il proprietario-locatore il destinatario delle norme regolamentari ed egli risponde in proprio delle violazioni poste in essere dal conduttore.
Una eventuale condanna del locatore sarebbe quindi certamente possibile qualora questi non dimostri di avere adottato le misure idonee - alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176 c.c. - a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione, costituendo, tale condotta del locatario, un inadempimento e quindi causa di risoluzione del contratto ex articolo 1453 c.c.
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Sotto altro profilo, deve altresa'¬ rilevarsi che e' possibile che il regolamento di condominio contenga clausole limitatrici delle facolta' d'uso delle porzioni di piano di proprieta' esclusiva.
Tuttavia, nel caso in questione, il divieto richiamato dal condominio di 'divieto di qualsiasi uso contrario al decoro e al buon nome del complesso', introducendo limiti al diritto di proprieta' deve ritenersi di stretta interpretazione.
Nella specie, come espressamente indicato dal regolamento, risultano esplicitamente vietati nell'edificio, oltre alle attivita' immorali o illegali, solo quelle aventi ad oggetto studi professionali che richiedono autorizzazioni sanitarie ad hoc, ovveroattivita' o mestieri che sono causa di rumori o disturbo.
Da cio' si desume che l'attivita' di negozio-laboratorio di informatica esercitata dalla conduttrice, pacificamente rientra, mediante interpretazione a contrario, tra quelle che il regolamento condominiale consente.
Infine, ad abundantiam, la Cassazione censura anche il rimedio utilizzato dal condominio a sostegno della propria pretesa. Infatti, asserisce la corte, che le lamentate molestie possessorie - immissioni acustiche, intralcio alla circolazione pedonale, problemi igienico-sanitari - dovevano essere,da un lato,tutelate mediante l'azione di manutenzione al posto di quella petitoria azionata,dall'altro, azionate solodai soli singoli condomini e non dal condominio tout court.Al condominio attore non resta quindi che pagare le spese di giudizio, non potendo essere accolta la sua domanda rivolta contro il proprietario dell'immobile ed il suo conduttore al fine di far cessare i dichiarati abusi.
=> Regolamento di condominio e limiti di destinazione d'uso