La luminosita' , la panoramicita' e la godibilita' dell'immobile sono elementi caratterizzanti del dritto di proprieta' . La privazione di luce e aria, del paesaggio e dell'amenita' ad opera di una strada sopraelevata diminuiscono il valore commerciale dell'edificio. Questo e' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n° 13368, del 26-05-2017
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L'indennita' per i danni subiti da soggetti non espropriati. La fattispecie in questione – che muove dalla citazione in giudizio promossa da un Condominio contro il Comune per i danni cagionati alle unita' abitative a seguito della realizzazione di una strada sopraelevata nei pressi dell'edificio medesimo – viene ascritta all'ipotesi prevista dall'art. 46, legge 25 giugno 1865, n. 2359 (cd. legge fondamentale in materia di espropriazione per pubblica utilita' ), ai sensi del quale «e' dovuta una indennita' ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilita' vengano gravati di servita'¹, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto».
Dal testo della norma si comprende come essa contempli due differenti fattispecie: a) l'asservimento del fondo, che trova causa nella procedura espropriativa definita o da definire mediante decreto ablatorio (di asservimento); b) il danno permanente derivante dalla menomazione, diminuzione o perdita di una o pia'¹ facolta' inerenti al diritto dominicale in conseguenza dell'esecuzione dell'opera pubblica, subito da soggetti che siano rimasti estranei al procedimento espropriativo (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali e' stata eseguita l'opera), o abbiano subito un danno non per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, ma in conseguenza dell'opera eseguitasulla parte non espropriata ed indipendentemente dall'espropriazione stessa(Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2009, n. 19972).
In materia di presupposti per il riconoscimento del diritto all'indennizzo in questione, si afferma poi la necessaria sussistenza di «tre condizioni: 1) un'attivita' lecita della amministrazione; 2) l'imposizione di una servita'¹ o la produzione di un danno avente carattere permanente, concretantesi nella perdita o nella diminuzione di un diritto; 3) il nesso di causalita' tra l'esecuzione dell'opera pubblica e il danno» (Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2012, n. 2897).
Tale diritto all'indennizzo, presupponendo dunque un atto legittimo della P.A., va peraltro tenuto distinto dal risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., subordinato invece al verificarsi di un fatto doloso o colposo addebitabile alla P.A. (Cass. civ., 12 dicembre 1996, n. 11080).
Sorge in definitiva il diritto all'indennita' di cui si tratta in presenza di un pregiudizio permanente alla proprieta' immobiliare privata, laddove sia configurabile un nesso di causalita' tra il danno prodotto ed il diritto dominicale, con tutte le sue facolta' di godimento attribuite dall'ordinamento.
L'ipotesi qui in commento riguarda, come anticipato, la situazione di soggetti, non espropriati, che hanno lamentato il pregiudizio alle rispettive proprieta' derivante da una strada comunale «realizzata su un muro di sostegno, che fiancheggiava, senza apprezzabile distacco, la proprieta' condominiale, distanziandosi di circa 10 m e correndo ad un'altezza variabile tra 0 e 7,50».
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La sentenza della Corte d'appello Impugnata la sentenza di condanna, il Comune era risultato soccombente anche in secondo grado: con pronuncia definitiva la Corte aveva posto a carico dell'Amministrazione un indennizzo per il deprezzamento delle unita' abitative pari a circa 670.000 euro, come rideterminato a seguito di una nuova CTU.
Il giudice dell'appello aveva infatti provveduto a nominare un nuovo consulente in sostituzione di quello originario poichè aveva ritenuto la stima compiuta da quest'ultimo «riduttiva, in quanto non sorretta ad alcun elemento di comparazione», nonchè «ingiustificata l'esclusione del pregiudizio derivante dalla parziale privazione di luce e aria, del paesaggio e dell'amenita' , osservando che, ai fini dell'indennizzo, e' sufficiente la menomazione di una o pia'¹ facolta' del diritto di proprieta' che diminuiscano il valore dell'immobile».
Nel caso di specie, si trattava peraltro di un edificio situato in una zona residenziale, anche se periferica, di particolare panoramicita' , dotato di rifiniture eccellenti, aree verdi, posti auto.
Il giudice dell'appello aveva inoltre contestato che i coefficienti di deprezzamento adottati dal primo c.t.u. non avessero tenuto conto «della menomazione della godibilita' conseguente alle immissioni sonore e alla lesione della privacy».
Al contrario, la Corte aveva considerato del tutto irrilevante, ai fini della decisione, la liceita' del comportamento dell'Amministrazione, rammentando appunto che l'art. 46 in questione «prevede una responsabilita' per attivita' lecita, rispondente ad una finalita' solidaristica, che consiste nel ristorare il pregiudizio subito dal singolo cittadino per effetto della realizzazione di un'opera di pubblica utilita' , addossandolo alla collettivita' ».
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Il ricorso in cassazione Tra le varie doglianze poste a fondamento dell'impugnazione, il Comune ha lamentato che:
Secondo il ricorrente, in definitiva, «il pregiudizio di cui all'art. 46 cit. non puo' riguardare quelle utilita' marginali che non trovano tutela come diritti autonomi o come attributi caratteristici del diritto di proprieta' , quali l'insolazione, l'aerazione, l'ampiezza della veduta panoramica, ma deve consistere in una riduzione della capacita' abitativa o nella compressione derivante da immissioni di rumore, vibrazioni o gas di scarico che per la loro continuita' ed intensita' superino i limiti della normale tollerabilita' » – richiamando peraltro sul punto gli arresti di Cass. n. 12213/2012, n. 26261/2007, 18226/2008.
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La decisione La Suprema Corte, nell'esaminare congiuntamente i riferiti motivi di ricorso, ha in primo luogo rammentato l'orientamento giurisprudenziale che, individuata la sussistenza di causalita' tra il pregiudizio e l'opera pubblica come uno dei presupposti del diritto all'indennizzo di cui alla l. n. 2359 del 1865, art. 46, afferma come detto legame eziologico si configuri nell'ipotesi in cui la menomazione di una o pia'¹ facolta' (non marginali) del diritto dominicale sia effetto dell'esecuzione e della presenza dell'opera pubblica, ovvero della sua utilizzazione in conformita' della funzione per la quale e' stata progettata e realizzata; e chiarisce che sia un danno rilevante ex art. 46 «la compromissione del valore di un immobile, quindi anche la riduzione della godibilita' di un appartamento nella sua destinazione abitativa – la quale ha rifl
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La decisione La Suprema Corte, nell'esaminare congiuntamente i riferiti motivi di ricorso, ha in primo luogo rammentato l'orientamento giurisprudenziale che, individuata la sussistenza di causalita' tra il pregiudizio e l'opera pubblica come uno dei presupposti del diritto all'indennizzo di cui alla l. n. 2359 del 1865, art. 46, afferma come detto legame eziologico si configuri nell'ipotesi in cui la menomazione di una o pia'¹ facolta' (non marginali) del diritto dominicale sia effetto dell'esecuzione e della presenza dell'opera pubblica, ovvero della sua utilizzazione in conformita' della funzione per la quale e' stata progettata e realizzata; e chiarisce che sia un danno rilevante ex art. 46 «la compromissione del valore di un immobile, quindi anche la riduzione della godibilita' di un appartamento nella sua destinazione abitativa – la quale ha riflessi negativi sul prezzo di mercato» (Cass. civ., 9 settembre 2004, n. 18172).
I giudici di legittimita' , replicando parzialmente alle citazioni giurisprudenziali del ricorrente, hanno poi osservato come una pia'¹ recente pronuncia, pur confermando l'operativita' dell'art. 844 c.c. in riferimento ad immissioni derivanti dalla vicinanza e dall'utilizzazione di un'opera pubblica, ha affermato che l'indennizzo di cui agli artt. 46 l. n. 2359 del 1865 e 44 d.P.R. n. 327 del 2001 debba essere riconosciuto se l'opera pubblica abbia provocato una compressione del diritto di proprieta' conseguente alla riduzione della capacita' abitativa, diminuzione «che puo' verificarsi sia per effetto di immissioni intollerabili di rumori, vibrazioni, gas di scarico e simili, sia in tutti i casi in cui il bene subisca un'oggettiva e apprezzabile riduzione della luminosita' , panoramicita' e godibilita' dell'immobile, purchè idonea a tradursi in una oggettiva riduzione del suo valore economico» (Cass. civ., 3 luglio 2013, n. 16619).
La luminosita' , la panoramicita' e la godibilita' dell'immobile – di cui il proprietario puo' essere privato per effetto della legittima costruzione di un'opera pubblica – vanno dunque considerate come utilita' tutt'altro che marginali, poichè «ineriscono giuridicamente al contenuto intrinseco della sua proprieta' »; l'eventuale diminuzione della capacita' abitativa determina una riduzione dell'appetibilita' e, in definitiva, del potenziale valore commerciale dell'immobile in questione; e la diminuzione del valore venale del bene determina per la PA l'obbligo di indennizzare il privato che di tali utilita' o facolta' sia stato privato, «e cio' proprio in virta'¹ del richiamato principio di giustizia distributiva, desumibile dall'art. 42 Cost., il quale esige che le conseguenze economiche pregiudizievoli causate da opere dirette al conseguimento di vantaggi pubblici non ricadano su un solo privato o su una ristretta cerchia di privati, ma siano sopportate dall'intera collettivita' (cfr. Cass., n. 16619/2013)», conferma Cass., n. 13368/2017.
Infine, nel caso di specie, la Corte ha negato rilevanza alle riferite ulteriori argomentazioni del ricorrente secondo cui la privazione di luce e di aria dell'edificio condominiale o della bellezza e della visuale di cui si gode dal sito siano privi di tutela diretta, potendo peraltro derivare anche da un'edificazione privata, e che, in ogni caso, la tutela di amenita' e panoramicita' sarebbero condizionate all'operativita' delle norme in materia di distanze o alla titolarita' di una servita'¹ di non sopraelevare: ai fini dell'applicabilita' dell'art. 46, l. n. 2359/1865 – che, si ribadisce, riguarda un'ipotesi di responsabilita' da fatto lecito – non rileva necessariamente l'inosservanza delle distanze legali oppure l'illegittimita' urbanistica dell'opera per violazione di una servita'¹, che, al contrario, si configurano quali fatti illeciti.
La sentenza impugnata viene dunque confermata, e con essa la condanna del Comune a versare al Condominio un cospicuo indennizzo.
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