La clausola risolutiva espressa, che il locatore tenta di far valere con una comunicazione successiva alla cessazione del contratto a seguito di convalida di licenza, non ha ragione d'essere. Il locatore, infatti, a contratto concluso non ha pia'¹ nè interesse nè diritto ad esercitare tale clausola contrattuale
=> Diritto all'indennita' per perdita di avviamento
=> Rilascio dell'immobile al pagamento dell'indennita' di avviamento da parte del locatore
Il principio. Cessato il contratto di locazione per uso diverso da quello abitativo a seguito della convalida della licenza intimata dal locatore, questi non ha interesse a far valere -dopo la scadenza- una clausola risolutiva espressa del contratto, neppure al fine di sottrarsi al versamento della indennita' per la perdita dell'avviamento commerciale.
Questo e' quanto espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n° 3795 pubblicata il 14 febbraio 2017
=> Indennita' per la perdita di avviamento, il contatto con il pubblico ne legittima la richiesta
La vicenda. Nella fattispecie concreta il locatore, dopo aver intimato la licenza per finita locazione ed aver ottenuto la sua convalida, inviava al conduttore, in data successiva alla scadenza del contratto, comunicazione con la quale dichiarava di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.
Quest'ultimo, dal proprio canto, lamentava che se fosse stata accettabile che il locatore potesse chiedere la risoluzione del contratto -anche dopo la sua scadenza- per non pagare l'indennita' di avviamento, cioe' lo avrebbe potuto fare esclusivamente per far accertare una causa di risoluzione per grave inadempimento e giammai per fare accertare l'operativita' di una clausola risolutiva espressa comunicata dopo la scadenza del contratto.
Chiedeva tutela all'Autorita' Giudiziaria, arrivando sino in Cassazione, per far accertare che la gia' avvenuta cessazione del contratto, per finita locazione, comportava la preclusione a far valere quella clausola, con la ulteriore conseguenza della debenza delle indennita' di avviamento poichè la inutile tentata risoluzione del contratto per inadempimento non era ostativa alla insorgenza del diritto in parola.
La decisione. In conclusione il locatore viene condannato a versare al conduttore la indennita' per la perdita di avviamento dell'attivita' disciplinata dall'art. 34 della L . n. 392/1978.
La debenza della indennita' de qua, secondo la Corte di Cassazione, era ormai cristallizzata per il fatto che il contratto era cessato a seguito dell'iniziativa della parte locatrice, mediante la richiesta della licenza e, pertanto, non vi era spazio nè tanto meno interesse per l'accertamento della risoluzione a seguito dell'esercizio della clausola risolutiva espressa in un momento successivo alla cessazione del contratto.
L'indennita' per la perdita dell'avviamento. I presupposti della indennita' si ravvisano nelle seguenti circostanze:
1. L'immobile, cosa'¬ per come evincibile espressamente dal contratto, deve essere adibito ad attivita' industriali, commerciali, artigianali o di interesse turistico (nella fattispecie concreta si trattava di una casa per anziani, quindi, locato per fini commerciali);
2. Il mancato rinnovo del contratto non deve dipendere da risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o dalla presenza di procedure concorsuali (nella fattispecie concreta non sono state ravvisate motivazioni di inadempimento tali da non accettare la richiesta del locatore);
3. L'attivita' esercitata dal conduttore deve comportare contatti diretti con il pubblico degli utenti e/o consumatori e l'utilizzo dell'immobile non deve essere marginale.
Inoltre, e' necessario ricordare che se il locatore, entro l'anno successivo alla cessazione del contratto, concede il proprio immobile ad altro conduttore per attivita' affini a quelle del precedente e/od attivita' incluse nella medesima tabella merceologica, il conduttore uscente ha diritto ad un'ulteriore indennita' , il cui importo e' uguale all'indennita' ordinaria.
=> Indennita' per la perdita di avviamento, il contatto con il pubblico ne legittima la richiesta
La clausola risolutiva espressa. L' istituto in parola e' disciplinato dall'art.1456 c.c. e consiste, in estrema sintesi, in una pattuizione tra i contraenti in base al quale si intende risolto il rapporto in essere “nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalita' stabilite”.
La peculiarita' della clausola sta nel fatto che le obbligazioni tra le parti devono essere indicate espressamente all'interno del contratto al fine di specificare quali siano le prestazioni, e le relative modalita' , la cui mancata esecuzione portera' alla risoluzione del contratto in essere.
Inoltre, l'inadempimento considerato presupposto per l'esercizio del diritto potestativo in parola, che permette la risoluzione del contratto, non necessariamente deve essere grave e necessita che l'avente diritto manifesti inequivocabilmente la volonta' di avvalersene.
E' abbastanza invalso nell'uso la clausola di tal tenore: ‘in caso di gravi violazioni da parte del conduttore di qualunque obbligo indicato nel presente contratto, il contratto si risolvera' di diritto'. In realta' , anche la giurisprudenza di legittimita' ha pia'¹ volte ricordato che la clausola risolutiva espressa e' nulla per indeterminatezza e/o allorquando, nella sua formulazione, rimetta in via esclusiva ad una delle parti (in materia, generalmente il locatore) la valutazione della importanza dell'inadempimento della controparte (Cass. Civ., sent. n. 4796/2016).
Chi deve provare l'uso dell'immobile. E' certamente interessante rammentare che in caso di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che chieda il pagamento dell'indennita' per la perdita dell'avviamento commerciale – a seguito del termine del rapporto- non ha il dovere di provare che nell'immobile si svolgeva attivita' con contatto diretto con il pubblico solo se questa circostanza deriva dalla destinazione contrattuale del cespite.
In questa ipotesi, infatti, grava sul locatore, che dovesse eccepire una diversa reale destinazione, l'onere di provare tale circostanza impeditiva della pretesa.
Diversamente non opera tale presunzione se nel contratto nulla viene precisato in ordine alla destinazione ‘commerciale' dello stesso ma se, di fatto, l'attivita' del conduttore determina un contatto diretto con utenti e/o col pubblico, sara' onere di quest'ultimo provare che, nei limiti del regolamento contrattuale, l'immobile era stato adibito in concreto ad attivita' comportante il contatto suddetto (Cass. Civ., sent. n. 10615/2010).
Qualche precedente in materia. Come ci si comporta con l'indennita' per la perdita di avviamento commerciale, ad esempio, allorquando il conduttore utilizza il bene, locato con contratto ad uso diverso da quello abitativo, in parte come deposito e solo in parte per lo svolgimento di una attivita' che comporti il contatto diretto col pubblico? A rispondere e' la Suprema Corte che osserva come tale indennita' sia dovuta, in casi simili, solo se vi sia prevalenza del carattere imprenditoriale della detenzione nel bene e la relativa quantificazione deve avvenire con riferimento all'intero canone di locazione e non solo alla quota, di quel canone, proporzionata alla superficie adibita all'uso commerciale (Cass. Civ., sent. n. 13936/2016).