Il nostro ordinamento penale prevede che: “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima [c.p. 583], della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina … per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. … Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336], salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale” (art. 590 C.P.).
Nel caso dell'amministratore di condominio, questa norma va letta con riferimento all'art. 40 C.P., il quale al secondo comma dispone che: “… Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Ecco che allora il codice penale equipara, per alcune categorie di soggetti, la condotta omissiva a quella commissiva, in considerazione del fatto che, per la qualifica giuridicamente rivestita, questi hanno l'obbligo di evitare qualsivoglia evento dannoso.
Nel caso di specie, quello dell'amministratore di condominio, il suddetto obbligo rinviene dal generale dovere di custodia e di conservazione del bene comune che incombe sullo stesso, in virtù del rapporto di mandato dallo stesso sottoscritto con i condòmini, con l'assunzione della gestione legale del condominio.
Più nello specifico, l'amministratore di condominio è responsabile - anche da un punto di vista penalistico - della conservazione e della vigilanza del bene comune, e la sua violazione è altresì sanzionata dall'art. 677 C.P., per il quale: “Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinquantaquattro euro a novecentoventinove euro. La stessa sanzione si applica a chi, avendone l'obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall'avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione. Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell'arresto fino a sei mesi o dell'ammenda non inferiore a trecentonove euro“.
Fatte queste premesse di carattere generale, lo spunto per una più approfondita riflessione, ci viene fornito da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, IV sezione penale, n. 46385, depositata in data 23.11.2015.
Un amministratore di condominio veniva processato e condannato alla pena di euro 200 di multa per il reato di cui agli artt. 40-590 c.p., per non aver impedito, pur avendone l'obbligo giuridico, l'evento dannoso in danno di un terzo soggetto, tanto per negligenza, imprudenza e/o imperizia, nonché per violazione di norme cautelari di condotta, per non avere lo stesso predisposto gli ordinari lavori di manutenzione all'edificio in condominio, dalla cui facciata si staccavano parti di rivestimento che provocano lesioni ad un minore, per come certificate da referto medico stilato dalla Casa di Cura.
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La sentenza di condanna del Giudice di pace di Acerra, veniva confermata in appello dal Tribunale di Nola e, quindi, perveniva al vaglio della Suprema Corte.
La stessa, con un percorso logico-giuridico ineccepibile, rigettava il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per motivare il suddetto rigetto il giudice di legittimità, dapprima afferma come il quadro probatorio, abbia dato sufficiente contezza in merito alla responsabilità penale dell'amministratore di condominio; lo stesso si è snodato attraverso le testimonianze rese da quattro signori, testi presenti ai fatti, nonché dalla narrazione dei fatti prospettata dalla persona offesa, costituitasi parte civile, il cui controllo di attendibilità rinviene dal riscontro delle sue propalazioni con quanto riferito dagli altri testi escussi e quanto contenuto nel referto medico in atti.
Viene evidenziato in sentenza come l'amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, gravando pertanto sullo stesso l'obbligo, ex art. 40, co. II, C.P., di attivarsi al fine di rimuovere le situazioni di pericolo per l'incolumità dei terzi, nella specie, l'obbligo di rimuovere il pericolo, poi concretizzatosi, di caduta di calcinacci e parti di rivestimento.
Ma attenzione, in motivazione la Corte riferisce come: “l'obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione di pericolo non doveva ritenersi subordinato alla preventiva deliberazione dell'assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da indurre un intervento di urgenza”.
Ciò a prescindere dalla esistenza o meno di una deliberazione assembleare con la quale si dispone sull'intervento di manutenzione ovvero da una esplicita segnalazione di emergenza che, se esistente, semmai aggraverebbe la posizione dell'amministratore, considerato che: “il disposto dell'art.1130 n. 4 cod. civ. viene interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità -come si ricorda nel provvedimento impugnato- nel senso che sull'amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le partì comuni dell'edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (sez. 4 n.3959/2009 e n.6757/1983)”.
Tanto anche argomentando, a contrario, dal disposto dell'ultimo comma dell'art. 1135 c.c., dal quale è possibile desumere che l'amministratore ha ampia facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, nel caso rivestano carattere di urgenza, essendo tenuto solo in seguito ad informare l'assemblea.
Sulla scorta di ciò, si può formulare il principio per cui: “l'amministratore di condominio in quanto tale assume, dunque, una posizione di garanzia ope legis che discende dal potere attribuitogli dalle norme civilistiche di compiere atti di manutenzione e gestione delle cose comuni e di compiere atti di amministrazione straordinaria anche in assenza di deliberazioni della assemblea. Da ciò quindi consegue la responsabilità per omessa rimozione del pericolo cui si espone l'incolumità di pubblica di chiunque acceda in quei luoghi, e per l'eventuale evento dannoso che è derivato causalmente dalla situazione di pericolo proveniente dalla scarsa o dativa manutenzione dell'immobile” (Cfr. in motivazione: Cass. pen., IV Sez., 23.11.2015, n. 46385).
La Suprema Corte, inoltre, da atto del condivisibile, maggioritario, orientamento della medesima formatosi in relazione al reato di cui all'art. 677 C.P., per il quale, in virtù della posizione di garanzia dell'amministratore di condominio sopra prospettata, questi è tenuto a vigilare sulle cose comuni e ad effettuare i necessari lavori di rimozione del pericolo derivante da minaccia di rovina e più in generale al dovere di effettuare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza con specifico obbligo di riferirne ai condomini nella prima assemblea ai sensi dell'art. 1135 II comma c.c. (cfr. sez. 1, n. 7764 del 19.6.1996; sez. 1, n. 9027 dell'8.1.2003; sez. 4, n. 13934 del 29.1.2008).
Tuttavia, ai sensi del menzionato art. 677 c.p., la responsabilità dell'amministratore sussiste solo per i lavori necessari alla manutenzione ordinaria, al contrario, per quella straordinaria egli ha il dovere di intervenire solo per le opere urgenti e improrogabili.
La presenza dell'amministratore, tuttavia, non esonera da responsabilità il proprietario stesso, il quale avrà comunque una responsabilità, se pur di tipo solo sussidiario, che si concretizza quando l'amministratore non possa adempiere ai propri obblighi per cause non riconducibili alla sua volontà.
Analogo obbligo autonomo del proprietario, sussiste anche quando, per fattori imprevedibili, l'amministratore non sia in grado di attivarsi per evitare il pericolo di rovina già manifestatosi.
Tanto è vero che, in caso di mancanza di un amministratore, sarà il proprietario (o i proprietari) dell'edificio condominiale, a rispondere personalmente ex art. 677 C.P., anche in virtù del fatto che detto obbligo è del tutto indipendente dalla causa che ha determinato il pericolo, essendo irrilevante sia l'origine del pericolo che la sua attribuibilità all'obbligato o la sua derivazione da caso fortuito o da forza maggiore (cfr. sez. 1 sent. 9866/96).
Nella realtà, spesso, anzi probabilmente di norma, accade che l'amministratore pur consapevole del pericolo, del quale ha tempestivamente informato anche l'assemblea, nell'inerzia di questa, non abbia disponibilità di fondi per agire tempestivamente.
Cosa fare in questi casi?
E' la Suprema Corte stessa che consiglia all'amministratore, per andare esente da responsabilità penali di: “intervenire sugli effetti anziché sulla causa della rovina, ovverosia prevenire la specifica situazione di pericolo prevista dalla norma incriminatrice interdicendo - ove ciò sia possibile - l'accesso o il transito nelle zone pericolanti' (21401/2009)” (Cass. pen., IV Sez., 23.11.2015, n. 46385).
Pertanto, l'amministratore di condomino non sarà imputabile laddove, pur nel disinteresse dell'assemblea, si sia adoperato per scongiurare il rischio per l'incolumità delle persone, magari, come nel caso di specie, transennando la zona sottostante la facciata da cui proviene la situazione di pericolo.
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