Ai fini dell'azione di garanzia per i vizi della cosa vendita (art. 1490 c.c.), il minor valore dell'appartamento viziato da imperfetto isolamento acustico va dimostrato e calcolato in modo specifico, mentre la quantificazione in via equitativa è possibile solo se mancano elementi per una valutazione analitica.
Sono questi alcuni dei principi che emergono dall'interessante sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 32 dell'8 gennaio 2015, che affronta il tema del deprezzamento dell'immobile viziato e della quantificazione dello stesso nell'azione promossa contro il venditore ex art. 1490 c.c.
Il fatto – L'acquirente di un immobile contestava la presenza di vizi del fabbricato, accertati tramite ATP, consistenti nell'imperfetto isolamento con conseguente superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni rumorose, in violazione del DPCM 5 dicembre 1997. Esperiva quindi domanda per ottenere la restituzione di una parte del prezzo, oltre al risarcimento del danno alla salute.
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Tralasciando le problematiche affrontate in sentenza, inerenti alla successione delle leggi nel tempo, il tribunale condannava il costruttore-venditore al risarcimento dei danni per il deprezzamento dell'immobile viziato in base alle determinazioni stabilite dal CTU in sede di accertamento tecnico preventivo. Il costruttore proponeva appello contestando, tra l'altro, il criterio di conteggio del minor valore dell'edificio.
Il consulente tecnico, in particolare, aveva accertato che:
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La questione principale tuttavia riguarda il fatto che il Tribunale aveva condannato il costruttore a rimborsare la differenza tra il prezzo pagato e il valore effettivo dell'immobile come rideterminato dal CTU, che l'aveva ridotto del 25% rispetto al valore commerciale richiamando un precedente in termini del Tribunale di Torino.
Tale impostazione, secondo la Corte d'appello, è errata, perché “il consulente doveva valutare la perdita di valore dell'appartamento in questione, non già quella subita da un imprecisato immobile torinese la cui elezione a parametro di riferimento non trova alcuna giustificazione”. In secondo luogo, siccome solo una stanza è “viziata”, “anche ammettendo di trovare una motivazione (in realtà del tutto assente) a conforto dell'opinione espressa dalla sentenza sulla misura del minor val
La questione principale tuttavia riguarda il fatto che il Tribunale aveva condannato il costruttore a rimborsare la differenza tra il prezzo pagato e il valore effettivo dell'immobile come rideterminato dal CTU, che l'aveva ridotto del 25% rispetto al valore commerciale richiamando un precedente in termini del Tribunale di Torino.
Tale impostazione, secondo la Corte d'appello, è errata, perché “il consulente doveva valutare la perdita di valore dell'appartamento in questione, non già quella subita da un imprecisato immobile torinese la cui elezione a parametro di riferimento non trova alcuna giustificazione”. In secondo luogo, siccome solo una stanza è “viziata”, “anche ammettendo di trovare una motivazione (in realtà del tutto assente) a conforto dell'opinione espressa dalla sentenza sulla misura del minor valore del 25%, detta decurtazione dovrebbe essere riferita alla sola cameretta”.
La sentenza in commento ritiene più corretta una valutazione in via equitativa del danno. Ipotizzando di applicare la decurtazione del 25% alla superficie della cameretta, il minor valore sarebbe di soli 10.800 euro e l'importo da restituire di poco più di 2000 euro, considerato che l'alloggio era già stato acquistato con uno sconto di oltre 8.000 euro rispetto al valore commerciale stimato. Tuttavia, anche questa modalità di calcolo non è stata ritenuta applicabile nel caso specifico, anche perché nel frattempo l'appartamento in questione era stato venduto a terzi e, quindi, sarebbe stata possibile una valutazione analitica del valore di cui, però, la ricorrente non ha fornito elementi di prova. Per questi motivi, la corte d'appello ha riformato la sentenza di primo grado respingendo tutte le richieste dell'acquirente.
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