L'articolo 873 del Codice civile discorre di 'distanze nelle costruzioni', secondo le quale 'Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non inferiore di tre metri ['¦]'.
E' compito della Pubblica Amministrazione autorizzare la realizzazione delle 'costruzioni' - e di tutto cio' che si possa valutare come tale (in date condizioni anche una 'veranda') - nel rispetto dei requisiti normativi del caso.
Ma cosa succede se la concessone edilizia rilasciata dall'ente competente arrechi un danno ad un 'terzo' (?). In altri termini, il vicino danneggiato dall'autorizzazione edilizia concessa puo' esercitare, oltre che un'azione tesa ad impugnare il 'nulla osta', anche una volta a chiedere il risarcimento del danno (si pensi a nocumento che si riflette nella svalutazione venale del proprio immobile).
Risponde al quesito il Consiglio di Stato, con Sentenza (non definitiva) del 19 novembre 2017.
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Con tale provvedimento, il massimo organo giurisdizionale del processo amministrativo stabilisce un importante principio - che potremo ben etichettare come innovativo (probabilmente una sorte di spartiacque!) -, affermando che la clausola 'fatti salvi i diritti dei terzi' non esonera la Pubblica Amministrazione da responsabilita' aquilana (articolo 2043 codice civile).
In fatto. Tizio e' proprietario di un immobile fronte mare, posto in posizione piu' elevata rispetto quello antistante di proprieta' di Caio. Quest'ultimo chiede al Comune di appartenenza l'autorizzazione edilizia per realizzare sul lastrico solare del proprio edificio una tettoria in legno con copertura a canniccio. L'ente locale, dapprima, nega il provvedimento e, successivamente, lo rilascia.
A tal punto e a seguito di diverse vicende giudiziarie, Tizio propone innanzi al Giudice amministrativo domanda risarcitoria nei confronti del Comune.
In particolare, questi chiede contezza sul danno conseguente alla diminuzione di valore del proprio immobile, stante la compromissione della veduta panoramica sul lido e sul mare - conseguente alla realizzazione della tettoia -quantificato in € 49.000,00. La vicenda approda in tutta la sua portata avanti al Giudice di secondo grado.
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Il provvedimento. Il giudice del gravame ha ritenuto l'appello fondato, accogliendo la domanda di risarcimento del danno nella misura di seguito precisata. Di rilievo e' intanto la prima precisazione posta dal decidente, laddove relativa alla diversa funzione assolta dal giudizio civile e quello amministrativo.
Il giudizio civile racchiude l'esercizio di una azione posta a tutela dei diritti dominicali, promossa ex art. 873 cod. civ., con cui si chiede la rimozione o in subordine l'arretramento della tettoia in relazione all'invocata violazione della disciplina delle distanze (domanda che, nella fattispecie, e' stata rigettata, unitamente alla cumulativa domanda risarcitoria, perchè il Tribunale prima e quindi la Corte di Appello hanno escluso che la tettoia costituisse 'costruzione' atta a creare una intercapedine, in quanto aperta sui quattro lati).
Il giudizio amministrativo e la domanda risarcitoria ivi proposta nei confronti dell'Amministrazione comunale riguarda, invece, l'esclusione o comunque la grave limitazione della veduta in relazione alla erezione della tettoia, assolvendo, quindi, a petitum e causa petendi diversa, non suscettibile di essere coperta dal giudicato civile.
Tanto premesso, il giudice amministrativo ha valutato poi se, oltre all'azione diretta nei confronti del proprietario del fondo sottoposto (nella specie non promossa poichè, come innanzi osservato, il giudizio civile e' stato instaurato ai sensi dell'art. 873 cod. civ.), sia ammissibile anche una domanda risarcitoria nei confronti dell'Amministrazione che abbia rilasciato il titolo autorizzatorio, poi annullato (ove ha consentito la realizzazione della tettoia, e quindi l'esclusione o la limitazione della servitu' di veduta-,e che, dopo l'annullamento, e in pendenza di appello avverso sentenza non sospesa, abbia ritardato, o non abbia assunto tempestivamente i provvedimenti repressivi,poi definitivamente esclusi dal rilascio di una concessione in sanatoria). Secondo il predetto decidente la risposta da dare alla querelle e' positiva.
Neanche la clausola del 'fatto salvi i diritti dei terzi' sarebbe, infatti, in grado di liberare la Pubblica Amministrazione dalla responsabilita' in cui essa e' incorsa.
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Conclusione. Alla stregua dei rilievi che precedono, la domanda risarcitoria formulata in sede amministrativa nei confronti dell'ente locale e' stata ritenuta fondata. Ed invero, la 'clausola' di salvezza - per come e' stata qualificata - non puo' ritenersi esonerativa da responsabilita' aquiliana dell'Amministrazione secondo i principi generali, quanto la stessa, con comportamenti commissivi o omissivi (e nella specie prima commissivi, mediante il rilascio del titolo edilizio, e quindi omissivi, attraverso l'omessa attivazione dei poteri di autotutela repressiva) ha concorso a cagionare la lesione del diritto dominicale di titolarita' del privato.
Per la quantificazione relativa, il Consiglio di Stato ha poi disposto che la verificazione della diminuzione di valore dell'immobile sia rimessa al Signor Direttore dell'Ufficio Provinciale del Territorio di competenza dell'Agenzia delle Entrate.
Il verificatore -che avra' facolta' di accedere a tutti gli atti del giudizio e di estrarne copia, di richiedere alle parti ogni documentazione ritenuta utile nonchè di tentare il componimento bonario della lite- dovra' provvedere al deposito della relazione finale, con i relativi allegati, nella Segreteria della Sezione.