La vicenda. La controversia trae spunto da un malcostume ampiamente diffuso nel settore delle locazioni abitative.
Il proprietarioagisce al fine di ottenere il rilascio dell'immobile abitato da una famiglia che, a detta dell'attore, eraospitata per mera benevolenza e senza la previsione di alcun corrispettivo; da cio' ne consegue l'occupazione sine titulo dell'immobile per difetto del contratto di locazione in forma scritta, con conseguente nullita' di qualsiasi pattuizione orale.
I convenutisostengono invece di occupare l'immobile in forza di un contratto scritto non registrato e di cui neppure e' mai stata loro consegnata copia, nonchè di avere regolamente versato un canone mensile di euro 450,00, come risultante da una “ricevuta” firmatadal proprietario, e chiedono, pertanto, di accertare l'esistenza del rapporto locatizio.
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L'evoluzione giurisprudenziale. Al fine di meglio comprendere la pronuncia in commento si rende necessario una breve panoramica sulla normativa di cui al caso di specie.
In base all'orientamento sino ad oggi maggioritario, il requisito introdotto dall'art. 1, comma 4, l. 431/1998 (“A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione e' richiesta la forma scritta”) era parificato al disposto dell'art. 1325, n. 4 c.c. (“I requisiti del contratto sono: 4) la forma, quando risulta che e' prescritta dalla legge sotto pena di nullita' ”), dal che trattandosi di forma scritta “ad substantiam” – ossia richiesta per l'intrinseca validita' dell'atto – il difetto della stessa costituiva una causa di nullita' assolutaai sensi dell'art. 1418 c.c., insanabile nonchè rilevabile anche d'ufficio – e dunque dalle parti in causa ma pure dal giudice investito della controversia.