Si sa la vita in condominio spesso è complicata, ma vi sono comportamenti intollerabili che sfociano nella vera e propria maleducazione e che possono assumere rilevanza sia da un punto di vista penalistico che civilistico.
Ci riferiamo, in particolare, al lancio di oggetti dal balcone, scuotere tovaglie oltre allo stillicidio dell'acqua, magari a seguito dell'innaffiamento delle piante, che reca pregiudizio agli occupanti del piano sottostante ovvero a pedoni o a chi si trovasse a transitare nel cortile condominiale. Rilevanti sotto questo aspetto risultano anche le molestie alle persone, l'imbrattare ovvero provocare immissioni sonore oltre i limiti consentiti.
A tal proposito, il nostro codice penale, all'art. 674, prevede che: “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a duecento sei euro”.
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Ultimamente la Suprema Corte si è trovata ad affrontare una questione simile che, appunto, ha riguardato il lancio di oggetti dal balcone.
Il Tribunale di Pescara condannava, ai sensi dell'art. 674 c.p., alla pena di Euro 206,00 di ammenda, un condomino per avere ripetutamente gettato, all'interno del giardino oggetti atti ad offendere, imbrattare e, comunque, molestare un altro condomino.
Dalla dichiarazione della persona offesa - testimone, infatti, era emerso che il condomino imputato aveva lanciato una bottiglia dal balcone e che, subito dopo, erano caduti ulteriori oggetti.
La medesima persona offesa aveva altresì prodotto documentazione fotografica dalla quale risultava che il suo giardino era stato oggetto di ripetuti “lanci” di vari oggetti e che, in ragione di ciò, era diventato un ricettacolo di rifiuti.
Pertanto, il condomino andava condannato alla pena sopra detta.
Il condomino giudicato colpevole in primo grado non ci stava e ricorreva alla Suprema Corte di Cassazione, per vedere cassata e riformata la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, III sezione penale, con sentenza n. 44458, depositata in data 4/11/2015, riteneva il ricorso infondato e, pertanto, condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle sostenute dalla costituita parte civile.
In motivazione il Supremo Collegio evidenziava come dovevano ritenersi fondate le dichiarazioni della parte offesa, teste nell'anzidetto procedimento penale, siccome corroborate dalla documentazione fotografica versata in atti.
Richiama poi il proprio precedente per cui: “La contravvenzione punita dall'art. 674 cod. pen. tutela l'incolumità pubblica, più precisamente l'interesse di prevenire pericoli più o meno gravi alle persone, dipendenti dal getto o versamento di cose atte ad offendere, molestare o imbrattare e dalla emissione di gas, vapori o fumi atti a cagionare tali effetti” (Cass. pen. Sez. I, 13/03/1986, n. 9458).
Ciò posto sostiene la Corte: “Configurando la fattispecie un reato di pericolo, per integrare il quale è sufficiente che la cosa gettata o versata o l'emissione di gas, vapori o fumi sia idonea a produrre almeno uno degli effetti previsti, non essendo necessario provare che tali effetti si siano effettivamente verificati” (Cass. pen. Sez. III,4/11/2015).
In altri termini, affinché si possa ritenere configurata la fattispecie penale in questione, non risulta necessario il verificarsi dell'evento dannoso, risultando sufficiente invece la mera potenzialità offensiva della condotta, come comunemente avviene nei cd. reati di pericolo.
Parimenti, è stato ritenuto che: “In tema di getto pericoloso di cose, la contravvenzione prevista dall'art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso di emissioni moleste 'olfattive' che superino il limite della normale tollerabilità ex art.844 cod. civ. (Fattispecie in cui è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta dell'imputato che, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato esalazioni maleodoranti in grado di arrecare molestie ai condomini confinanti)” (Cass. pen. Sez. III, 03/07/2014, n. 45230).
Anche il disturbo al riposo dei vicini, da parte del proprietario che non impedisce agli animali di latrare comporta la condanna ex art. 674 c.p., qualora venga superata la normale tollerabilità (Cfr.: Cass. pen. Sez. III, 03/07/2014, n. 45230), così come la condotta del condomino che, innaffiando i fiori del proprio appartamento, getta acqua mista a terriccio nell'appartamento sottostante imbrattandone il davanzale, i vetri ed altre suppellettili, provocando altresì la caduta di un pezzo di intonaco all'interno dell'appartamento sottostante (Cfr.: Cass. pen. Sez. III, 21/03/2014, n. 15956).
Allo stesso modo, anche il mancato rispetto dell'ordine imposto dal giudice civile, può comportare la violazione dell'art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), per il quale “Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all'ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Da ultimo, infatti, la Suprema Corte, VI sezione penale, con sentenza n. 44772, del 9/11/2015, ha sostanzialmente confermato la condanna dell'imputato che, nonostante l'ordinanza del giudice civile, resa al termine di un giudizio possessorio afferenti le parti comuni di un edificio, ha continuato ad occupare gli spazi comuni parcheggiandovi le autovetture di cui aveva la disponibilità per l'esercizio della propria attività commerciale, impedendo così il pari uso in favore del compossessore, riconoscendo nella fattispecie concreta la violazione dell'art. 388 c.p.
Se le condotte sopra descritte provocano vieppiù danni a cose o persone, da dimostrarsi secondo le comuni regole in materia di onere probatorio, l'autore è tenuto altresì al relativo risarcimento nei confronti del danneggiato, il quale potrà esercitare l'azione civile nell'ambito dell'eventuale procedimento penale, con la costituzione di parte civile ovvero adire direttamente la magistratura civile, per chiedere, ai sensi dell'art. 2043 c.c. (“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), il ristoro di tutti i danni subiti.
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