La massima (non ufficiale). L'ente condominiale e' tenuto a risarcire il proprietario della singola unita' qualora la delibera assembleare, dichiarata in seguito illegittima, ha determinato la risoluzione del contratto di locazione con l'inquilino.
L'Assemblea dei condomini aveva infatti negato l'installazione di una canna fumaria sul muro comune dell'edificio, determinando in via consequenziale la risoluzione del preliminare di locazione condizionato all'installazione della canna.
Quindi rifusione del danno da lucro cessante, parametrato sul mancato incasso del canone pattuito per il primo anno di affitto, per l'intero periodo in cui l'immobile e' rimasto libero.
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La vicenda. Una societa' cito' in giudizio il condominio di un edificio, chiedendo l'annullamento della delibera assembleare con cui era stata negata l'autorizzazione, ad essa, all'installazione, sul muro comune, di una canna fumarla a servizio dei locali di esclusiva proprieta' , ed il risarcimento dei danni che aveva subito, ed in specie quelli conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare di locazione che aveva stipulato con un terzo, condizionandone l'efficacia, per l'appunto, all'installazione della canna fumaria.
Il Tribunale annullo' la delibera assembleare impugnata, mentre rigetto' la domanda risarcitoria formulata dalla societa' attrice.
La Corte d'appello, confermando tale decisione, affermo' che la societa' non era tenuta a chiedere l'autorizzazione al condominio per esercitare il suo diritto di installare la canna fumaria sul muro comune, che non aveva quindi interesse ad ottenerla e, inoltre, che era stato 'improvvido' il condizionamento dell'efficacia del contratto preliminare.
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La prima pronuncia di legittimita'
L. a II Sezione civile della Corte di cassazione, nel 2005, accoglieva parzialmente il ricorso formulato dalla societa' , cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa ad altra sezione della Corte d'appello.
Pia'¹ in particolare, la societa' aveva censurato la pronuncia per aver rigettato la domanda risarcitoria, denunziando violazione di legge (art. 2043 c.c. e art. 116 del codice di rito) e vizi di motivazione, a suo dire inadeguata e contraddittoria.
La Corte di cassazione ha giudicato fondata la censura: 'La obiettiva esistenza di un diritto non esclude affatto l'interesse ad ottenerne un espresso riconoscimento, finalizzato alla certezza del rapporto intercorrente tra il suo titolare e colui nei cui confronti tali diritto puo' essere esercitato, in particolare quando il titolare intende cedere a terzi a titolo oneroso facolta' che sono espressione del suo diritto, e intenda nella circostanza precisarne la dimensione e la consistenza, per conseguire maggior profitto da tale cessione.
E' dunque errata, sotto il profilo logico e giuridico, sia la affermata inesistenza dell'interesse della societa' a chiedere al condominio l'assenso alla installazione della canna fumaria sul muro condominiale, sia l'affermata inopportunita' di condizionare nel termine innanzi indicato il contratto preliminare di locazione.
Parimenti incongruente, sotto il profilo logico-giuridico, e' la terza considerazione svolta dalla Corte d'appello […] relativa al tempo in cui la societa' chiese la denegata autorizzazione.
Il fatto che tale autorizzazione fu chiesta dopo la stipulazione del contratto preliminare di locazione e' circostanza del tutto irrilevante, attesa la natura per l'appunto preliminare del contratto; e parimenti irrilevante e' la circostanza che tale richiesta fu formulata dalla societa' dopo la scadenza del termine stabilito per stipulare il contratto definitivo, perchè tale scadenza, che attiene comunque al rapporto instaurato con il contratto, e che ben puo' essere dagli stipulanti di quest'ultimo prorogato, non esclude comunque l'obbligo di adempiere, anche tardivamente'
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Il merito post annullamento. Riassunto il giudizio, e pronunciando in sede di rinvio, la Corte d'appello ha condannato il Condominio a pagare, in favore della societa' , la somma di euro 54.893,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza, unitamente alle spese dei giudizi.
La Corte territoriale ha rilevato che l'illegittimita' della delibera assembleare integra, nella fattispecie, una condotta inquadrabile nell'alveo normativo di cui all'art. 2043 c.c., con conseguente diritto dell'appellante a conseguire il risarcimento dei danni, e ha ritenuto che il diniego del condominio all'installazione della canna fumaria ha determinato la risoluzione del contratto preliminare di locazione.
Esclusa la risarcibilita' del danno emergente derivante dall'acquisto della canna fumaria, in quanto evitabile con l'ordinaria diligenza, la Corte ha invece ritenuto che compete alla societa' il danno da lucro cessante per i mesi successivi alla delibera assembleare e per tutto il periodo in cui l'immobile rimase sfitto, mentre ha negato la risarcibilita' della minore convenienza del contratto successivo.
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Il secondo giudizio di legittimita'
P. er la cassazione della sentenza della Corte d'appello la societa' ha proposto, nuovamente, ricorso.
Nel rigettarlo, la II Sezione civile ha rilevato che risultano risarcibili (soltanto) i danni che rappresentano conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo.
Di questa regola, discendente dall'art. 2056 c.c. e dalla disposizione dell'art. 1223 cod. civ. in esso richiamata, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione.
Questa ha infatti liquidato il danno da lucro cessante per i mesi successivi alla delibera assembleare, costituente il fatto produttivo del danno, considerando le mensilita' dalla data alla quale era stata differita la vigenza del contratto di locazione stipulato col terzo, e per tutto il periodo in cui l'immobile rimase sfitto, per un importo mensile di lire 18.000.000, tale essendo la misura del canone fissata per il primo anno.
La Corte di merito ha invece escluso che possa costituire danno risarcibile, parametrabile all'intera durata del rapporto, la minore convenienza del contratto successivamente stipulato, con altro conduttore, con un canone inferiore di lire 3.000.000 al mese.
Ma tali valutazioni attengono al merito, che non compete alla Suprema Corte di Cassazione.
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