La Corte di Cassazione (ordinanza depositata 7 giugno 2017 n. 14143) ha precisato che e' illegittimo il potere dell'ente di pretendere dai cittadini-utenti una prestazione pecuniaria di un determinato importo quale corrispettivo dovuto per il godimento di un pubblico servizio quale quello idrico .
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La vicenda in esame. La questionetraeva origine dal un procedimento tra Tizio, Caio e il Comune avente ad oggetto l'accertamento circa la richiesta della titolare di una utenza di servizio idrico della non debenza di “diritto fisso” richiesto dal Comune. La domanda veniva rigettata dal Giudice di Pace. Avverso tale pronuncia veniva proposto appello innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno. Il giudice in esame (in grado di appello) accoglieva l'impugnativa.
A questo punto, il Comune ha proposto ricorso per cassazione precisando che gestisce il servizio idrico, determinando le relative tariffe nel pieno rispetto della normativa in vigore; inoltre, a parere del Comune ricorrente, il giudice di appello, valutando illegittimo il diritto fisso in esame, avrebbe dovuto disapplicare varie delibere comunali e la stessa delibera del CIPE n. 131 del 2002, che ne costituisce il fondamento.
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Il ragionamento della Corte di Cassazione. Dall'espletata istruttoria, veniva osservato che proprio dalla parte di delibera n. 55 del 2002, riportata nello stesso ricorso emergeva che l'importo fisso fognatura e depurazione era composto da voci del tutto estranee ai consumi di acqua/ e relative invece ad altri parametri (numero addetti, superficie edificata/ ecc.),non contemplati dalla predetta delibera del CIPE n. 131 del 2002. Premesso cio', secondo i giudici di legittimita' , la debenza del diritto fisso “fogne e depurazioni” attiene al rapporto di utenza del servizio idrico integrato inquadrabile nei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, la cui fonte regolatrice non e' di natura amministrativa ma di diritto privato negoziale, indipendentemente dalla natura dell'erogatore.Di talchè in tema di corrispettivo dovuto per il godimento di un pubblico servizio, la posizione del privato assume la natura di diritto soggettivo, tutelabile dinnanzi al giudice ordinario, per quanto attiene all'accertamento della inesistenza del potere dell'ente di pretendere una prestazione pecuniaria di un determinato importo, venendo in tal caso in considerazione diritti ed obblighi di fonte contrattuale privata e ben potendo il giudice verificare in via incidentale la legittimita' e l'efficacia di provvedimenti della autorita' amministrativa, determinativi o modificativi della tariffa. Quindi, l'amministrazione locale non puo' maggiorare il corrispettivo dovuto alla societa' fornitrice dell'acqua, imponendo un contributo fisso comunale poichè si tratta di un pubblico servizio.
Al contrario il privato ha un vero e proprio diritto soggettivo e nessuna prestazione accessoria gli puo' essere richiesta dall'ente locale.
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In conclusione, a parere della Corte non sono dovuti i “diritti fissi” delle amministrazioni locali che vanno ad incidere sull'attivazione dell'utenza idrica, come ad esempio quelli per «fogne e depurazioni».
Non rileva il fatto che l'ente erogatore dell'acqua abbia natura pubblica, sia partecipato dall'amministrazione o si tratti di una societa' privata.
Secondo infatti l'orientamento espresso dalla citata pronuncia i contributi non possono essere imposti con regolamento comunale poichè il rapporto e' di natura contrattuale e non regolamentato da fonti amministrative.Per tali ragioni, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Suprema Corte ha respinto il ricorso del Comune e per l'effetto confermata la pronuncia di secondo grado.
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