La Cassazione conferma la condanna del gestore del servizio idrico di un comune siciliano che non ha provato di aver fatto tutto il possibile per erogare acqua potabile.
Il fatto. Un cittadino residente nel Comune di Gela cita dinanzi al Giudice di Pace l'acquedotto chiedendo il risarcimento dei danni subiti da momento che il Comune aveva comunicato all'intera cittadinanza di astenersi dal consumo dell'acqua poichè non potabile. Il Giudice di Pace condanna l'acquedotto al risarcimento in favore dell'utente della somma di circa ottocento euro.
L'acquedotto impugna la sentenza del Giudice di pace dinanzi al Tribunale, in funzione di giudice di secondo grado, che conferma la decisione di primo grado ritenendo dalla stessa adeguatamente provata la sussistenza del danno subito dall'utente ed il nesso di causalita' .
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Tanto nel corso del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di Pace, quan
Tanto nel corso del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di Pace, quanto nel giudizio di secondo grado l'acquedotto non riesce a scaricare la responsabilita' su una societa' , chiamata in causa, che si occupa della 'dissalazione dell'acqua marina' e tenta invano di sostenere che la responsabilita' dell'accaduto era addebitabile unicamente alla condotta di quest'ultima.
Il ricorso in Cassazione. L'acquedotto decide di ricorrere in Cassazione impugnando la sentenza di secondo grado ribadendo ancora una volta che la responsabilita' della mancata erogazione di acqua fosse addebitabile unicamente alla societa' che, prima di fornirla al concessionario, provvedeva alla dissalazione dell'acqua del mare. In pratica la procedura era questa la societa' si occupava di dissalare l'acqua marina ed a fornirla al concessionario, e quest'ultimo dopo averla opportunamente miscelata assumendosi anche l'onere di controllarne la qualita' , provvedeva all'erogazione dell'acqua.
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Secondo la Cassazione ci si trova al cospetto di un contratto di somministrazione, che viene stipulato fra i singoli utenti ed il concessionario, al quale resta completamente estranea la societa' che si occupa di dissalare l'acqua marina.
Di conseguenza nessun censura puo' essere mossa alla sentenza impugnata nel momento in cui ha ritenuto che nessuna responsabilita' assume la societa' in questione nella mancata erogazione dell'acqua all'utente da parte del concessionario. Per quanto concerne, invece, la posizione della societa' addetta a dissalare l'acqua marina, la Cassazione ha ribadito la sua totale estraneita' nell'accaduto confermando la piena legittimita' della sua estromissione dai giudizi di merito.
Preso atto del fatto che la societa' che si occupa di raffinare l'acqua del mare non ha alcun ruolo nella vicenda, ed a quest'ultima di conseguenza non puo' essere attribuita alcuna responsabilita' in merito alla mancata erogazione di acqua potabile da parte dell'acquedotto, secondo i giudici di legittimita' non resta altro che stabilire la natura del rapporto che intercorre fra l'utente ed l'acquedotto concessionario del servizio idrico.
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La decisione. Muovendo da tale presupposto la Cassazione ha preso atto del fatto che il contratto di somministrazione, che intercorre fra acquedotto ed utente, non contiene alcun riferimento all'attivita' che svolge la societa' addetta a raffinare l'acqua, pertanto l'acquedotto non puo' essere esonerato dalla sua responsabilita' in virta'¹ di un presunto inadempimento della societa' addetta alla dissalazione.
In pratica secondo la Cassazione l'acquedotto non puo' sottrarsi alla sua responsabilita' a fronte del presunto inadempimento della raffineria che ha indotto il Comune ad assumere il provvedimento di sospensione dell'erogazione perchè i parametri chimici ed organolettici dell'acqua risultano difformi dagli standard di legge.
Pertanto nei confronti dell'acquedotto trova applicazione il principio sancito dall'art. 1218 del codice secondo cui il debitore che vuole dimostrare di non aver potuto adempiere la prestazione dovuta per causa non imputabile a lui, non puo' limitarsi ad eccepire la semplice difficolta' della prestazione o il fatto ostativo del terzo.
Pertanto e' stata confermata la sentenza aveva condannato, anche in appello, l'acquedotto al risarcimento dei danni patiti dall'utente per la mancata erogazione dell'acqua.
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