In tema di immobili soggetti alla disciplina del condominio, ai fini dell'applicabilita' di tali norme non conta il numero delle abitazioni che lo compongono, ma la loro strutturazione.
Ne discende che ove l'edificio abbia parti e/o impianti funzionalmente destinati all'uso comune, si versi nell'ipotesi di condominio e non di comunione semplice, le cui norme necessitano di altri presupposti.
Cio', tanto nel caso di edificio che si estende in verticale, quanto di struttura unitaria che si sviluppa in orizzontale.
E' questa, in somma sintesi, la conclusione cui e' giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27360 depositata in cancelleria il 29 dicembre 2016. Un pronunciamento in linea con i precedenti arresti del Supremo consesso, coerenti con quanto affermato in via di principio con la nota sentenza n. 2046 resa dalle Sezioni Unite nel 2006.
Il caso: i proprietari di una villetta iniziavano una causa contro la loro vicina per ottenere la condanna al pagamento di somme sborsate per l'esecuzione di lavori sul muro divisorio delle villette.
La sentenza di primo grado rigetto' le loro richieste, che furono accolte a seguito di appello dalla Corte competente. Da qui il ricorso in Cassazione che si e' concluso con una sentenza di rinvio al medesimo giudice del gravame. Vediamo perchè.
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La sentenza della Corte d'appello, cassata dagli ermellini, aveva disposto la condanna dell'originaria convenuta facendo applicazione delle norme dettate in materia di comunione. A dire dei giudici di secondo grado, infatti, le due villette a schiera erano soggette a tale disciplina.
Non s'e' mostrata di questo parere la ricorrente, le cui doglianze lamentavano falsa applicazione di legge, dovendosi secondo essa applicarsi le norme dettate in materia di condominio, sono state accolte.
I giudici di legittimita' , infatti, hanno stabilito che secondo la documentazione processuale era indubitabile che le due villette avessero in comune il muro tramezzo, costituito da un unico manufatto, il cui scopo era quello di separare le due unita' immobiliari, site in un unico corpo di fabbrica.
Tale conformazione dell'edificio, hanno chiarito gli ermellini, fa sa'¬ che il suddetto muro – che era unico dalle fondamenta al tetto – fosse funzionalmente destinato al godimento delle unita' immobiliari di proprieta' esclusiva e non esso stesso oggetto diretto di comproprieta' .
La destinazione funzionale di una parte dell'edificio o di un suo impianto, hanno affermato i giudici di piazza Cavour richiamando molteplici loro precedenti, e' l'elemento discretivo imprescindibile per valutare a quali norme siano soggetti i beni oggetti di comproprieta' .
Da qui il rinvio della causa al giudice di appello, che quindi dovra' valutare se la spesa sostenuta dagli originari attori, che domandavano la condanna al risarcimento pro quota, fosse urgente e come tale soggetta alla disciplina delle spese di cui all'art. 1134 c.c. oppure necessitasse di una deliberazione, come qualunque spese riguardante la manutenzione delle parti comuni.
La Corte, inoltre, ha ribadito che lo sviluppo in orizzontale del condominio non impedisce l'applicazione delle norme condominiali.
Tale precisazione, in seguito alla novella legislativa apportata dalla legge n. 220 del 2012, deve ritenersi comunque superata, dato che l'art. 1117 c.c. attualmente in vigore fa riferimento a parti e impianti comuni a pia'¹ unita' immobiliari e non alle medesime cose in comune a piani o porzioni di piano (locuzione che sembrava restringere l'applicazione delle norme condominiali ai soli edifici che si sviluppavano in senso verticale).
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