Se dopo il pagamento, successivamente residua un credito diverso per spese legali o interessi, sussiste un onere del creditore di sollecitare il debitore, prima di procedere o proseguire in via esecutiva, ad un adempimento spontaneo del residuo. Ne consegue che costituisce esercizio abusivo del processo esecutivo quando non vi e' corrispondenza tra il mezzo processuale (impulso all'azione esecutiva) ed il suo fine (soddisfacimento del credito consacrato nel titolo esecutivo).
Questo e' il principio di diritto espresso dal Tribunale di Monza con la sentenza del 19 marzo 2016 in merito al divieto del frazionamento del credito.
I fatti di causa. Tizio (Creditore), in forza di una precedente sentenza del Tribunale di Monza, vantava nei confronti di Caia (debitrice) un credito. La somma in esame, successivamente veniva parzialmente pagata dalla debitrice mediante versamenti di acconti. Il creditore, non ottenendo il pagamento del residuo, decideva di avviare il procedimento esecutivo (pignoramento immobiliare) nei confronti di Caia. Anche in questo caso, Caia saldava integralmente il debito residuo e il legale di Tizio emette la relativa fattura quietanzata. Tuttavia, nonostante il debito era stato interamente saldato, il creditore Tizio dava ulteriore impulso all'esecuzione immobiliare (l'azione veniva intrapresa per una somma di 5 mila euro riferibile a precedenti spese legali rimaste insolute). A fronte di questa richiesta, Caia ha proposto opposizione all'esecuzione innanzi al Tribunale di Monza, formulando altresa'¬ istanza di sospensione dell'esecuzione.
Il problema della vicenda: l'abuso del processo esecutivo e il frazionamento dell'azione esecutiva. Preliminarmente e' opportuno precisare che la figura dell'abuso nel processo esecutivo e' stata oggetto di svariate pronunce della giurisprudenza, la quale ha riconosciuto come abusive le condotte del creditore che fraziona l'azione esecutiva e del creditore che procede coattivamente per importi irrisori. Per quanto riguarda il c.d. 'frazionamento dell'azione esecutiva', ossia il censurabile comportamento del creditore che, pur disponendo di un titolo esecutivo originariamente unico, da' avvio a diversi procedimenti esecutivi,la Cassazione ha ribadito pia'¹ volte che il fine del processo esecutivo e' permettere al creditore di ottenere quanto gli compete in forza del titolo purchè vi sia la necessaria corrispondenza: il diritto del creditore deve essere contenuto entro i limiti del di quanto gli spetta (In tal senso Cassazione del 9 aprile 2013, n. 8576). Ne consegue che il creditore non puo' frazionare in via giudiziale le richieste di pagamento derivanti da un unico rapporto; in questi casi, il giudice deve dichiarare improponibile l'istanza di condanna al versamento delle somme che potevano essere domandate insieme agli importi gia' richiesti.
L'applicabilita' del principio in esame in ambito condominial
L'applicabilita' del principio in esame in ambito condominiale. Con il nuovo art. 63 disp. att. c.c., ormai e' noto il divieto, per il terzo creditore, di agire contro i condomini in regola con i pagamenti (delle spese condominiali) se non dopo aver inutilmente escusso quelli morosi, il cui elenco dovra' essergli fornito dallo stesso amministratore. Quindi il terzo creditore deve munirsi di un titolo esecutivo nei confronti del condominio, notificarlo all'amministratore dello stabile, per poi richiedere a quest'ultimo l'elenco dei condomini inadempienti verso il pagamento delle spese condominiali.
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Orbene, anche in questo caso, la giurisprudenza e' stata granitica nell'esplicitare il divieto: e' illegittimo il frazionamento del credito, effettuato senza motivazione apparente, che da' origine all'emissione di pia'¹ decreti ingiuntivi nei confronti dell'unico debitore (condomino); al creditore non e' consentito agire in giudizio per chiedere l'adempimento frazionato, contestuale o sequenziale, di un credito unitario. Ne discende che, quando la procedura esecutiva abbia ad oggetto un credito di natura meramente patrimoniale, essa 'non puo' ricevere tutela giuridica se l'entita' del valore economico e' oggettivamente minima e quindi tale da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell'interesse stesso' Cassazione, 3 marzo 2015, n. 4228 e Cass. n. 27624 dell'11 Dicembre 2013
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L'interpretazione del Tribunale di Monza. Conformemente ai principi esposti dalla giurisprudenza di legittimita' , il giudice lombardo ha precisato che non e' consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento. Il principio in esame ha come presupposto la norma dell'art. 24 Cost. in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede. (In tal senso Cassazione, 9 aprile 2013, n. 8576 - Cass. Sez. Unite n. 23726/2007). Premesso cio', nella fattispecie in esame, a parere del Giudice, da parte del Creditore vi era stata sicuramente condotta contraria a buona fede: Tizio (creditore) aveva dato ulteriore impulso al procedimento esecutivo dopo aver percepito l'integrale pagamento delle somme spettatigli, senza che la debitrice Caia fosse informata della sussistenza di un debito residuo a suo carico e invitata a saldarlo. In questo caso, ad essere riconosciuto come abusivo e', insomma, l'impulso dato dal creditore alla procedura esecutiva in spregio al dovere di correttezza che avrebbe imposto di informare la debitrice e di chiedere il pagamento della somma restante.
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, il Tribunale di Monza ha accolto l'opposizione della debitrice; per l'effetto, il giudice ha sospeso l'esecuzione e ha condannato il creditore alle spese processuali.
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