In tema di azioni giudiziarie riguardanti le parti comuni, esiste una sostanziale differenza tra azioni a tutela della proprieta' che si assume essere gia' condominiale e azioni volte ad estendere la condominialita' a beni non considerati tali.
Cosa'¬, ad esempio, un conto e' proporre un'azione di rivendicazione oppure un'azione di manutenzione del possesso, altro intentare un'azione volta a far dichiarare l'avvenuta usucapione della proprieta' (o di altro diritto reale) su di un bene.
Questa, in breve sintesi, la decisione cui e' giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 20453 dell'11 ottobre 2016.
La questione della legittimazione attiva e passiva dell'amministratore condominiale e' sempre spinosa. La generica formulazione dell'art. 1131 del codice civile e l'ondivaga interpretazione datane dalla giurisprudenza di merito e di legittimita' fanno sa'¬ che non sempre e' facile rispondere a domande all'apparenza elementari, quali, ad esempio:' quando l'amministratore puo' iniziare una causa di propria iniziativa?
Quando la promozione di una lite necessita del consenso dell'assemblea?
Oppure ancora: quando l'amministratore non ha alcuna legittimazione?
Qui di seguito ci soffermeremo sulla legittimazione attiva, anche se, ad avviso di chi scrive, il vero punctum dolens della legittimazione dell'amministratore riguarda le liti passive, nonostante le Sezioni Unite abbiano – correva l'anno 2010 – chiarito i limiti di tale legittimazione (sent. nn. 18331-2) e nonostante tali principi restino pienamente validi anche a seguito della riforma normativa operata dalla legge n. 220 del 2012.
Torniamo alle cause proponibili dall'amministratore.
Si diceva in principio che agire per tutelare la proprieta' di un bene comune e' cosa differente dall'agire per estendere il vincolo di condominialita' .
In tal senso gli ermellini, con la sentenza n. 20453, hanno ribadito che “in tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro I singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarita' , al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale possono essere esperite dall'amministratore purchè il medesimo sia stato autorizzato dall'assemblea ai sensi dell'articolo 1131, primo comma, c.c. (sentt. nn. 3044/09; 5147/03; 40/15) e sempre che si tratti da azioni volte alla difesa della proprieta' comune e non alla sua estensione (cfr., per quest'ultima ipotesi, sent. n. 21826/13, che subordina la legittimazione dell'amministratore del condominio ad agire per l'usucapione di area adiacente al fabbricato condominiale al rilascio di un mandato speciale da ciascun condomino)” (Cass. 11 ottobre 2016 n. 20453).
Riepilogando: qualora l'amministratore debba agire per rivendicare la proprieta' o il possesso di un bene comune potra' farlo sulla scorta di una deliberazione assembleare adottata con il voto favorevole della maggioranza dei presenti alla riunione ed almeno la meta' del valore dell'edificio.
=> Con la delibera della maggioranza l'amministratore puo' agire per rivendicare la proprieta' di una parte comune
Se, invece, si tratta di azioni quali quelle relative all'usucapione, la legittimazione spetta ai singoli condo'mini o comunque all'amministratore munito di procura speciale.
A ben vedere, anche questa impostazione, non va esente da critiche.
Posto che e' pacifico che per le azioni giudiziarie riguardanti le attribuzioni ex art. 1130 c.c. l'amministratore sia dotato di autonoma legittimazione ad agire, i principi espressi dalla Corte di Cassazione fanno sa'¬ che le azioni conservative (art. 1130 n. 4 c.c.) debbano considerarsi ridotte a mere azioni di tutela dell'integrita' dell'immobile (denunzia di nuova opera, danno temuto, ecc.) e non a quelle finalizzate a contrastare spogli o molestie nel possesso o nella proprieta' .
=> Cause sulla proprieta' dei beni comuni, necessaria la partecipazione di tutti i condomini
=> Il bene rimane comune anche se i condo'mini non lo utilizzano.