L'argomento è molto dibattuto, tanto che anche la giurisprudenza spesso si è dimostrata ondivaga in merito.
Iniziamo innanzitutto col riferire che, in ambito condominiale, il conflitto di interessi si verifica solo in presenza di due condizioni: 1) allorquando risulta dimostrato un sicuro contrasto tra particolari ragioni personali del condomino e l'interesse generale del condominio; 2) quando il voto del condomino in conflitto di interessi abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza assembleare (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 16/05/2011, n. 10754. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. II, 24/05/2013, n. 13004).
Ciò posto, una volta accertato il conflitto di interessi di uno o più condòmini, bisogna stabilire se la presenza degli stessi contribuisca alla formazione dei quorum.
In proposito, si contrappongono due correnti di pensiero, entrambe autorevolmente sostenute dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.
La prima, ritiene che ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio (Cfr.: Cass. civ. n. 44080/2002; Cass. civ. Sez. II, 22/07/2002. Di recente in tal senso: Cass. civ. Sez. II, 9/08/2011, n. 17140).
La seconda sostiene, al contrario, la tesi della necessaria computabilità (Cass. civ. Sez. II, 30/01/2002, n. 1201), principio di recente ribadito dalla sentenza n. 19131, della II sezione civile della Corte di Cassazione, datata 28.09.2015, che ritiene inderogabili le maggioranze previste per legge, in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio.
Alcuni condòmini di un supercondominio impugnavano dinnanzi al Tribunale di Roma la delibera assembleare adottata il 25 maggio 1999, in particolare, due punti della deliberazione: quello relativo all'instaurazione di un giudizio nei confronti di un condomino, siccome non inserito all'ordine del giorno; quello relativo al compenso dell'amministratore che, a loro dire, esorbitava le tariffe in vigore.
Si costituiva il supercondominio chiedendo il rigetto della domanda e il Tribunale adito accoglieva parzialmente la domanda e annullava la delibera limitatamente al punto non inserito all'ordine del giorno.
Interponeva appello il supercondominio, eccependo il fatto che il Tribunale di Roma non avrebbe fatto buon governo dell'art. 2373 c.c., che prevede (nel testo previgente) come nel computo della maggioranza si debba tener conto del voto dei condomini in conflitto, anche solo potenziale, di interessi. Condòmini che, in effetti, si erano astenuti dalla votazione per loro esplicita volontà.
La Corte d'Appello di Roma accoglieva il gravame aderendo all'orientamento della Suprema Corte, espresso nelle sentenze n. 44080/2002 e 100683/2002, secondo cui: “ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari condominiali non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio in relazione all'oggetto della delibera”.
Per la cassazione della sentenza proponevano ricorso i condòmini soccombenti in secondo grado, per violazione e falsa applicazione dell'art. 2373 c.c., sotto due diversi profili che hanno portato alla formulazione di due quesiti di diritto, come imposto dal testo - ora abrogato - dell'art. 365 c.p.c., applicabile ratione temporis:
1) “Voglia la Corte di cassazione enunciare il principio di diritto secondo cui la maggioranza necessaria, in conformità degli artt. 1136 e 2373 c.c., è quella richiesta volta per volta dalla legge in rapporto a tutti i condomini ed all'intero edificio e anche nei casi di conflitto di interesse la maggioranza richiesta per le deliberazioni si rapporta alla totalità dell'elemento personale e reale, vale a dire a tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell'intero edificio; conseguentemente anche nell'ipotesi di conflitto di interessi, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini, i quali rappresentino la maggioranza personale e reale fissata volta per volta”;
2) “Voglia la Corte di cassazione enunciare il principio di diritto secondo cui, anche applicando al Condominio per analogia le disposizioni ex art. 2373 c.c., la situazione di conflitto tra l'interesse proprio e quello collettivo in cui versi uno dei soggetti partecipanti all'assemblea non può ritenersi aprioristicamente estesa anche ad altri soggetti che, non partecipando all'assemblea, abbiano delegato a rappresentarli il soggetto in conflitto di interessi”.
In altri termini, se nel caso di conflitto di interessi tra condominio e condòmini, per la verifica del quorum deliberativo occorre fare riferimento a tutti i condomini ed al valore dell'intero edificio ovvero soltanto ai condomini ed ai millesimi dei partecipanti che non versano in conflitto di interessi.
La II sezione civile della Corte di Cassazione, condivide l'orientamento espresso nella sentenza n. 1201 del 2002 e la soluzione alla quale essa è pervenuta.
La stessa premette che: “Da nessuna norma si prevede che, ai fini della costituzione dell'assemblea o delle deliberazioni, non si tenga conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi. Il principio maggioritario, adottato dal codice per le deliberazioni assembleari con la regola della 'doppia maggioranza' è un principio specifico dell'istituto condominiale, che vale a distinguerlo dalla disciplina della comunione e delle società, in quanto solo nel condominio è previsto che la maggioranza venga raggiunta dal punto di vista delle persone e del valore”.
Ciò posto, evidenzia come la sentenza del 2002 che sancisce l'inderogabilità in meno delle maggioranze, si pone l'obbiettivo di impedire che la maggioranza possa in qualche modo menomare i diritti dei singoli partecipanti, ecco perché i quorum vengono fissati in misura inderogabile (in meno), specie per le decisioni di particolare importanza, prevedendo un numero considerevole di partecipanti e di una frazione consistente del valore dell'edificio.
Tanto è vero che il quorum costitutivo e quello deliberativo non possono immutarsi in meno, neppure per contratto, per come si evince dall'art. 1138, IV co., c.c., a mente del quale il regolamento contrattuale di condominio in nessun caso può derogare alle norme ivi richiamate, comprese quelle stabilite dall'art. 1136 c.c. concernenti la costituzione dell'assemblea e la validità delle delibere (In tal senso: Cass. n. 11268 del 1998).
La Suprema Corte riferisce poi che neppure l'impossibilità dell'assemblea di deliberare, se non si raggiunge la maggioranza prescritta, può giustificare una riduzione dei quorum richiesti dalla legge, anche perché in siffatti casi, può farsi utile riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 1105 c.c., IV co., - applicabile al condominio in virtù del rinvio fissato dall'art. 1139 c.c. - secondo cui, quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria.
Pertanto conclude affermando il principio di diritto per cui: “in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto d'interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'Autorità giudiziaria' (Cass. civ, Sez. II, 28/09/2015, n. 19131).
Ciò posto, nelle deliberazioni assembleari, quand'anche ci si trovasse al cospetto di condòmini in conflitto di interessi, il quorum costitutivo e deliberativo deve essere calcolato sulla scorta di tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell'intero edificio, ivi compresi quelli in potenziale conflitto di interessi.
Cassa, pertanto, la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione.
Peraltro, per detti condòmini non vige un obbligo di astenersi dalla votazione, ma una mera facoltà, di talché qualora gli stessi partecipassero comunque alle votazioni, i restanti condòmini non potrebbero far altro che impugnare la deliberazioni, dimostrando la sussistenza del conflitto di interessi.
A tal proposito: “In tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d'interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio” (Cass. civ. Sez. II, 16/05/2011, n. 10754).
Tanto è vero che: “In tema di deliberazioni dell'assemblea di condominio, nella specie relativo ad edificio destinato all'esercizio di attività imprenditoriale, non dà luogo, di per sé, a conflitto di interessi la coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell'impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio” (Cass. civ. Sez. II, 24/05/2013, n. 13011).
=> L'annullamento della deliberazione per conflitto d'interessi
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