Diritto di abitazione. La convivente non puo' restare nell'immobile dopo la morte del compagno se la moglie separata e la figlia ne reclamano il possesso.
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Nonostante l'impegno del Legislatore a tutelare la convivenza more uxorio (Legge sulle unioni civili 76/2016), la Cassazione con una recente pronuncia (del 27 aprile 2017 n. 10377) ha ribadito il principio secondo cui Il diritto di abitazione e' riconosciuto solo in caso di separazione e divorzio (cioe' presuppone un regolare matrimonio).
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La convivenza more uxorio. Con il termine di convivenza more uxorio si indica genericamente l'unione stabile e la comunione di vita spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio.
Alla fine della convivenza (per la famiglia di fatto) uno degli aspetti pia'¹ controversi riguarda il diritto di abitazione della casa familiare.
Pero', mentre per i coniugi, e, quindi, per la famiglia tradizionale il diritto all'assegnazione della casa familiare (c.d. diritto di abitazione) e' regolato in modo specifico e, di conseguenza sono stati studiati tutti gli aspetti e tutte le sfumature.
Lo stesso non puo' dirsi per l'assegnazione (o per la sorte della casa familiare dopo la fine della convivenza in presenza di una famiglia di fatto).
La Legge Cirinna' del 20 maggio 2016, n. 76. La nuova regolamentazione delle convivenze prevede diversi gradi di tutela della coppia.
A partire dalle garanzie concesse a tutti i conviventi more uxorio registrati, tra cui il diritto di abitazione del partner superstite nella casa di residenza per un certo periodo.
Per arrivare alla possibilita' di andare pia'¹ a fondo e regolare con un “contratto di convivenza” il regime patrimoniale dei partner.
Ai sensi dei commi 42 e 43 dell'art. 1 L. n. 76/2016, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni.
Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
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Il ragionamento della Cassazione. A parere del dei Giudici di Piazza Cavour una volta venuto meno il titolo, per cessazione della convivenza, dovuta in conseguenza del decesso del convivente proprietario-possessore, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull'immobile, sicchè la protrazione della relazione di fatto tra il bene ed il convivente (gia' detentore qualificato) superstite, potra' ritenersi legittima soltanto in base:
Quanto alla odierna rilevanza sociale e giuridica che riveste la convivenza di fatto, i giudici di legittimita' hanno evidenziato l'impossibilita' di applicare al caso esaminato, perchè non in vigore all'epoca dei fatti, la legge sulle unioni civili (76/2016) che fissa ora in 5 anni il tempo massimo di permanenza per chi sopravvive.
In conclusione, dunque, secondo il principio espresso dalla presente pronuncia il convivente non e' un “ospite” ma un detentore qualificato dell'immobile nella quale si instaura la coabitazione; Il tutto ha pero' un termine che coincide con quello “ragionevole” concesso dall'ex compagno
In conclusione, dunque, secondo il principio espresso dalla presente pronuncia il convivente non e' un “ospite” ma un detentore qualificato dell'immobile nella quale si instaura la coabitazione; Il tutto ha pero' un termine che coincide con quello “ragionevole” concesso dall'ex compagno o dagli eredi, per trovare una sistemazione.
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