Quando a pochi giorni dalla firma del rogito davanti al notaio, la parte interessata all'acquisto recede dall'operazione e non si presenta nello studio del professionista, oltre al danno emergente, dovra' risarcire anche i canoni di locazione che il venditore avrebbe potuto incassare se non fossero mai state avviate le trattative interrotte quando ormai erano in dirittura d'arrivo. E cio' benchè si tratti del lucro cessante derivante dalla mancata stipula di un contratto diverso da quello di compravendita oggetto della negoziazione.
Cosa'¬ si e' pronunciata la Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 4718 del 10 marzo 2016 con un nuovo orientamento, ove gli Ermellini hanno meglio precisato che la responsabilita' ex articolo 1337 c.c. copre tutte le conseguenze dirette della violazione del principio di buona fede da parte di chi blocca le trattative quando sono vicine alla conclusione.
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Questi i fatti di causa. Una societa' Alfa, con citazione, deduceva di aver incaricato un'agenzia immobiliare di vendere un immobile, a destinazione industriale, tramite il socio di una societa' Beta. Dopo le preliminari operazioni (cancellazione ipoteca, accatastamento e frazionamento del bene), il socio (responsabile della trattativa della societa' Beta) non si presentava all'incontro fissato per il rogito davanti al notaio. Per le ragioni esposte, la societa' Alfa chiedeva al giudice adito la condanna dei convenuti (socio e societa' Beta) al risarcimento del danno.
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Costituendosi in giudizio, il convenuto (socio), preliminarmente eccepiva di essere intervenuto nelle trattative solo quale rappresentante della societa' Beta, nel merito rilevava di aver scoperto casualmente l'esistenza dell'ipoteca e che l'immobile non era conforme agli standard urbanistici necessari per svolgere l'attivita' commerciale. Inoltre, eccepiva che la societa' venditrice non aveva mai inteso sottoscrivere alcun contratto preliminare, e che la proposta di vendita non aveva natura irrevocabile e non era mai stata stabilita la data del rogito o della consegna del bene.
In primo grado, il Tribunale adito, rigettava la domanda attorea, rilevando che la societa' Beta, per il suo tramite, era receduta lecitamente dalle trattative di compravendita.
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La sentenza in oggetto veniva impugnata e riformata in secondo grado dalla Corte d'Appello; in tale fase, i giudici del gravame, hanno ritenuto che la societa' venditrice (appellante) avesse confidato nel buon esito delle trattative indipendentemente dal fatto che fossero stati discussi tutti gli elementi dell'accordo; inoltre, rilevava che il socio, incaricato della trattativa, era venuto a conoscenza di tutta la documentazione della vendita, quindi della destinazione industriale speciale.
Risultava, quindi, irrilevante che non gli sia stata comunicata la sussistenza del vincolo amministrativo a parcheggio pubblico di buona parte della superficie; la circostanza, infatti, emerge dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune e dunque da disposizioni conosciute o conoscibili. E in ogni caso, a parere della Corte territoriale, chi apre la trattativa su di un immobile, deve verificare che il bene risponda alla destinazione che egli si prefigge di imprimergli, altrimenti, se poi scopre che non ci sono le condizioni, incorre comunque nella responsabilita' precontrattuale laddove la trattativa e' giunta a uno stadio tanto avanzato da radicare nella controparte un ragionevole affidamento sulla conclusione dell'affare.
Per i motivi esposti, la Corte di Appello, riformando la pronuncia di primo grado, condannava la societa' Beta al risarcimento del danno emergente. La pronuncia, in esame e' stata poi ulteriormente impugnata innanzi alla Suprema Corte da parte ricorrente Beta (per il rigetto della domanda) e da parte resistente Alfa, tramite ricorso incidentale, per il riconoscimento ulteriore del risarcimento del danno da lucro cessante.
Invero, dello stesso parere della Corte di Appello e' in parte anche la Suprema Corte con la sentenza in commento, tuttavia con una diversa interpretazione sull'ammontare del risarcimento del danno.
Per meglio dire, a parere della Corte di Cassazione, il risarcimento ex articolo 1337 c.c. non comprende soltanto il danno emergente rappresentato dalle spese inutilmente sostenute dal venditore in relazione alle trattative (in tal caso anche la mera contrazione di un impegno di spesa risulta rilevante). Difatti, secondo gli ermellini, sbaglia la Corte d'appello a escludere il lucro cessante.
Quindi, il motivo del ricorso incidentale proposto dalla societa' venditrice, che viene accolto, infatti, e' proprio quello che lamenta il mancato riconoscimento del danno commisurato ai canoni di locazione che il mancato venditore avrebbe potuto percepire da terzi se la trattativa non fosse stata avviata. Su tale argomento, trova in particolare ingresso la censura secondo cui il pregiudizio da ristorare deve essere omogeneo a quello effettivamente patito. E cio' perchè la responsabilita' precontrattuale si estende al danno economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, anche se diverso a quello per cui si sono svolte le trattative.
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Sul punto, la Corte precisa che la responsabilita' precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c. copre anche tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede, nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli articoli 1223 c.c. e 2056 c.c.; sicchè, tale responsabilita' , si estende anche nel caso in cui la parte ha lasciato cadere le trattative quando queste erano giunte al punto di creare ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse. (In tal senso Cass. n. 2973 del 12 marzo 1993).