Si sente spesso dire, perché è l'art. 43 c.p. a specificarlo, che un delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.
Volontà e rappresentazione del fatto e delle sue conseguenze, insomma piena consapevolezza del proprio agire (che, poi, nella realtà può essere sfumata fino a prendere le forme del così detto dolo eventuale).
Sulle nozioni di volontà e rappresentazione e le loro immediate ricadute pratiche in relazione all'elemento soggettivo nei reati dolosi non mancano le disquisizioni dottrinarie (cfr. ad es. Fiandaca-Musco, Diritto Penale Parte Generale, III ed., Zanichelli, 2001) e giurisprudenziali
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Proprio con riferimento all'opera ermeneutica della Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione si segnala un'interessante sentenza, la n. 10411 depositata in cancelleria l'1 febbraio 2011.
Quanto al concetto di volontà, si legge in sentenza che essa “esprime la tensione dell'individuo verso il conseguimento di un risultato non in termini di mero desiderio - dimensione questa che attiene alla sfera della motivazione - quanto piuttosto di concreta attivazione in vista del raggiungimento di un determinato scopo”.
Desiderare che una persona muoia è cosa ben diversa dall'azione tesa ad ottenere quel risultato. Nel primo caso il rimprovero, se il desiderio è manifestato, avrà connotazioni di mero carattere morale; nel secondo caso, invece, l'agente potrà essere punito quanto meno a titolo di delitto tentato (art. 56 c.p.).
In questo contesto, proseguono gli ermellini, “qualsiasi condotta umana, eccezion fatta per i comportamenti del tutto irrazionali, mira ad un risultato e solo il riferimento ad esso consente di individuare la volontà dell'agente, che deve investire direttamente o indirettamente (nei termini che saranno precisati al paragrafo successivo) anche l'intero fatto di reato colto nella sua unità di significato, nel dinamismo tra i suoi elementi e nella proiezione teleologica in direzione dell'offesa”.
Per restare all'esempio precedente, un conto è manifestare un desiderio biasimevole ma non darvi alcun seguito; diverso il caso in cui alla manifestazione del desiderio segua un comportamento (es. presentarsi con la pistola in pugno a casa della vittima).
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Stando così le cose conclude la Corte sull'elementi volitivo, “in adesione ad una recente elaborazione teorica è possibile affermare che, poichè il comportamento doloso orienta finalisticamente i fattori della realtà nella prospettiva del mezzo verso uno scopo, esso attrae nell'ambito della volontà l'intero processo che determina il risultato perseguito. Per conseguenza la finalizzazione della condotta incide sulla sfera della volizione e la svela”.
Detta in modo più semplice anche ai fini probatori: per dimostrare che una persona aveva la precisa volontà di uccidere non sempre è necessaria una complessa indagine psicologica essendo sufficiente, a seconda dei casi, desumere tale intento dai comportamenti posti in essere. Chiaramente il comportamento dev'essere univocamente rivolto a ciò.
“L'elemento rappresentativo – prosegue la Cassazione – attiene, a sua volta, al complessivo quadro di conoscenza degli elementi essenziali del fatto nel cui ambito la deliberazione è maturata”.
“Esso costituisce il substrato razionale in virtù del quale la decisione di agire si pone in correlazione con il fatto inteso nella sua unitarietà, così giustificando il riconoscimento di una scelta realmente consapevole, idonea a fondare la più grave forma di colpevolezza. La volontà presuppone, perciò, la consapevolezza di ciò che si vuole. Il dolo è, quindi, rappresentazione e volontà del fatto tipico. La rappresentazione, che ha ad oggetto tutti gli elementi essenziali del fatto, assume - come osservato con efficace sintesi da un'autorevole dottrina - natura psichica di conoscenza, quando concerne gli elementi preesistenti e concomitanti al comportamento, di coscienza, quando è riferita alla condotta, di previsione, quando riguarda elementi futuri, qual è essenzialmente l'evento del reato” (Cass. 1 febbraio 2011 n. 10411).
Per restare all'esempio di cui sopra, è evidente che, salvo casi di incapacità d'intendere e volere, non può non considerarsi esistente l'elemento rappresentativo del fatto reato nella persona che si avvicina a casa della vittima con la pistola in pugno senza sicura.