In presenza di una contabilità tenuta correttamente è legittimo e insindacabile prestare servizi professionali gratuiti ad “amici e parenti”. Il principio espresso dalla Cassazione in una recente sentenza riguardante un consulente fiscale potrebbe interessare, a determinate condizioni, tutti i professionisti e dunque anche a quelli che amministrano condomini e beni immobili di terzi.
Il principio è stato espresso dai giudici di legittimità, con sentenza n. 21972/2015, depositata il 28 ottobre scorso, che hanno respinto il ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 92/29/2008 della Commissione Tributaria Regionale campana.
Questi i fatti di causa. Un consulente fiscale veniva raggiunto nel 2005 da un avviso di accertamento riguardante l'anno d'imposta 2001, con cui l'Agenzia delle entrate gli intimava il pagamento di maggiori imposte (IVA, IRPEF ed IRAP) con tanto di sanzioni e interessi, relative a 72 prestazioni professionali dallo stesso effettuate nei confronti di clienti ma non documentate. Dal canto suo il consulente fiscale eccepiva da subito che non aveva fatturato tali prestazioni in quanto aveva prestato gratuitamente la propria opera a beneficio di amici, parenti e soggetti già clienti per le loro società.
Il contenzioso tributario avviato dal consulente vedeva quest'ultimo soccombente in primo grado e vittorioso, invece, in secondo. In quest'ultimo la Commissione Tributaria campana aveva sostenuto, in particolare, che in presenza di una contabilità corretta, congrua e coerente l'opera professionale gratuitamente svolta in favore di numerosi soggetti indicati dallo stesso consulente appariva giustificata. Per i giudici di secondo grado, la gratuità delle prestazioni nei riguardi della maggior parte di essi (49 su 71), consistente nell'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi, sarebbe stata giustificata anche dalla circostanza che il consulente curava la contabilità delle società di cui gli stessi erano soci e per la quale già riceveva un compenso. Per il consulente, infatti, l'invio gratuito delle dichiarazioni di soci di società già clienti sarebbe stata finalizzata soltanto ad incrementare la sua clientela.
La Corte di Cassazione, investita della questione a seguito del ricorso proposto dall'Amministrazione finanziaria appellatasi alla decisione della CTR Campania, ha dato ragione al consulente ritenendo la pretesa dell'Ufficio frutto di mere presupposizioni.
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I Giudici di legittimità, infatti, hanno ritenuto del tutto plausibile “la gratuità dell'opera svolta dal professionista, in considerazione dei rapporti di clientela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello corrisposto dalla società di appartenenza e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l'attività svolta in loro favore riguardava soltanto l'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all'incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l'assunto del contribuente circa la sua gratuità”.
Per i Giudici di legittimità, quindi, l'assenza di una prova fornita dal Fisco sulla onerosità di prestazioni professionali rese dal contribuente, la cui contabilità era peraltro correttamente tenuta, unitamente al contenuto e alla semplicità delle stesse rese in favore di soggetti già clienti, rendeva plausibile la tesi della loro gratuità che, come noto, non dà luogo all'assoggettamento ad imposta sul valore aggiunto e né, dunque, agli obblighi di documentazione.
Infatti, l'art. 1, comma 3 del D.P.R. n. 633/72 stabilisce che le prestazioni di servizio gratuite non sono soggette o sono fuori del campo applicativo dell'imposta sul valore aggiunto per mancanza del requisito oggettivo, cioè l'onerosità della prestazione. Di conseguenza, nessun obbligo di documentazione della prestazione sorge ai sensi dell'articolo 21, comma 6 dello stesso decreto.
Ciò detto, c'è da chiedersi se il principio ribadito dai giudici di legittimità possa valere anche per chi esercita professionalmente l'attività di amministratore di condomini o di beni immobili di terzi nel caso in cui, ad esempio, abbia gratuitamente compilato e presentato una dichiarazione dei sostituti d'imposta di un condominio da egli non direttamente amministrato, o ancora abbia predisposto e presentato al Comune le dichiarazioni IMU di condòmini già clienti senza richieder loro poi alcun compenso. Sembrerebbe di si e non si vedrebbe ragione alcuna per escluderlo a priori. D'altronde anche un amministratore di condominio, come ogni altro professionista, può aver interesse a rendere prestazioni professionali gratuite per farsi conoscere o per “fidelizzare” la propria clientela.
In linea di massima, il principio espresso dai Giudici di legittimità, secondo cui in mancanza di una prova contraria è verosimile che una prestazione professionale sia avvenuta gratuitamente se ha un contenuto “semplice” ed è resa in favore di amici, parenti o soggetti già clienti, riguarderebbe tutti i professionisti e, dunque, anche quelli che esercitano un'attività di amministrazione di condomini o di beni immobili di terzi i quali, tuttavia, sono chiamati a svolgere incarichi dai contenuti tutt'altro che “semplici”. Pur tuttavia, non è da escludere, in linea di principio, che anche un incarico di per sé complesso, se curato sporadicamente per un frangente limitato di tempo a favore di un amico, di un cliente o perché no di un collega stesso, possa essere svolto gratuitamente senza alimentare per ciò solo il sospetto del Fisco con possibili (ma infondate) pretese erariali.
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