Il caso. Un condominio cita in giudizio il costruttore dell'immobile e ne chiede la condanna alla demolizione di alcune opere abusive (10 cantinole, collocate al piano seminterrato e due volumi tecnici situati sul lastrico solare) trasformate in miniappartamenti ammobiliati ed allacciati agli impianti condominiali di fognatura e riscaldamento ed al risarcimento dei danni cagionati al condominio.
Il convenuto chiede che le richieste vengano rigettate, disponendo di una concessione in sanatoria rilasciata dalla Pubblica amministrazione.
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Questioni e soluzioni. Nel giudizio di prime cure, il Tribunale di Bari, con sentenza depositata il 9 agosto 2000 ed in appello la relativa Corte, con la sentenza n. 656/08, condannavano il convenuto e gli inibivano di adibire le cantinole ed i vani tecnici ad un uso differente da quello proprio.
Per i giudici la sanatoria ottenuta rilevava solo nei rapporti tra il costruttore e la p.a., ma non anche nei rapporti con il condominio, regolati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi speciali in materia di edilizia.
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Per la Corte di Cassazione (v. sentenza n. 16119/12), invece, nel regolamento di condominio non vi era il divieto di adibire le cantinole ad appartamenti, nè la Corte d'appello aveva saputo spiegare da dove si ricavasse tale divieto; nella sentenza di appello non veniva, inoltre, indicato se e come tale trasformazione incidesse o pregiudicasse, da parte dei condomini, il godimento delle singole unita' immobiliari o rappresentasse una turbativa dell'igiene, della salubrita' o del buon nome del condominio.
La Corte aveva ritenuto tali questioni non assorbite nella normativa attinente le servita'¹.
La Cassazione, quindi, annullava con rinvio la sentenza impugnata. La controversia, rinviata nuovamente alla Corte d'appello, si concludeva con una nuova sentenza di condanna (Sent. 920/2015) del curatore dell'eredita' del costruttore.
Per i giudici, infatti, le cantinole non avevano mai ottenuto, nè mai avrebbero potuto ottenere, il certificato di abitabilita' , certificato che secondo i giudici, non poteva ritenersi sostituito dalla concessione sanatoria, non risolvendo essa il problema della salubrita' , ma solo quelli della abitabilita' e agibilita' , dei locali adibiti ad appartamenti, problema destinato a ripercuotersi sull'intero stabile, a causa del sovraccarico dell'impianto fognario.
La Decisione della Corte di Cassazione. La curatela dell'eredita' del costruttore ha impugnato nuovamente la sentenza della Corte d'appello, indicando ben sette motivi di gravame, quasi tutti respinti dalla Corte, ad eccezione del quarto, del quinto, del sesto e del settimo, su cui mi soffermero', essendo stati decisivi ai fini della pronuncia della Corte che, dopo aver respinto i primi tre, ha accolto il quarto motivo di ricorso e ritenuto gli altri assorbiti in esso.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 1122, 1138, 1027, 1350, 1362 ss. e 2697 c.c.; dell'art. 42 Cost.; degli artt. 221 e 222 r.d. 1265/34 e del decreto ministeriale 5 luglio 1997.
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Per la ricorrente, la Corte d'appello aveva errato nel ritenere che la destinazione d'uso delle cantinole e degli altri vani potesse pregiudicare l'igiene di tutto il fabbricato, desumendo da un fatto ignoto e presunto la presunzione di un altro fatto ignoto; a tale conclusione la Corte era, infatti, giunta senza svolgere alcun accertamento concreto sullo stato dell'edifico.
Per la curatela, le caratteristiche delle cantinole e, segnatamente, l'assenza di finestre apribili, smentita dalla c.t.u., da cui risultava che le stesse fossero dotate di portefinestre, non potevano ritenersi di per sè in grado di pregiudicare l'igiene del resto dell'edificio, potendo questa essere posta in pericolo solo dai comportamenti degli eventuali abitanti dei suddetti locali.
La Corte di Cassazione ha condiviso questa osservazione, affermando, a propria volta, che i giudici d'appello, estendendo la nozione di insalubrita' delle cantinole all'intero edificio avevano compiuto un salto logico ed impropriamente sovrapposto il suddetto concetto a quello di contrarieta' all'igiene delle attivita' a cui gli immobili risultino destinati.
La ricorrente ha ritenuto improprio anche il riferimento al rapporto tra la superficie delle unita' immobiliari(tra i 20 ed i 30 mq, come accertato dalla c.t.u.) e numero degli abitanti delle stesse, elemento che, secondo la curatela, non emergeva da nessun atto processuale, e che, in caso di superamento, non sarebbe stato in grado di condizionare in alcun modo la certificazione di abitabilita' , autorizzando soltanto la pubblica amministrazione a disporne lo sgombero.
I precedenti.
Per il Tribunale Milano (sent. 01 marzo 2004) le limitazioni regolamentari al godimento delle unita' oggetto di proprieta' esclusiva configurano delle obbligazioni 'propter rem' a carico dei singoli condomini e che, di conseguenza, non siano suscettibili di interpretazione estensiva.
Pertanto, le clausole di un regolamento condominiale che preveda la destinazione di un piano cantinato non posso essere lette nel senso di vietare esplicitamente destinazioni diverse.
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