Nei contratti di somministrazione caratterizzati dalla rilevazione dei consumi mediante contatore, la rilevazione dei consumi e' assistita da una mera presunzione semplice di veridicita' .
“In caso di contestazione dei consumi da parte del somministrato, quindi, grava sul somministrante l'onere di provare che il sistema di rilevazione dei consumi (ovvero il contatore) fosse perfettamente funzionante, mentre grava sul fruitore l'onere di provare che l'eccessivita' dei consumi e' dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con una diligente custodia dell'impianto ovvero di aver diligentemente vigilato affinchè eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore ovvero determinare un incremento dei consumi”. Questo e' il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23699 del 22 novembre 2016 in merito alla prova dei consumi di acqua.
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I fatti di causa. La societa' Beta proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Terni su istanza della societa' Alfa (Servizio Idrico Integrato), con il quale le veniva ingiunto il pagamento di una somma relativa ad alcune fatture emesse in relazione a consumi idrici, affermando che alcune delle fatture richiamate nel decreto ingiuntivo erano state regolarmente pagate, e che in altre fosse riportato un consumo eccessivo, conseguente ad una ricontabilizzazione a suo danno di consumi precedenti successiva al cambio di contatore.
Il giudice di prime cure, con sentenza, rigettava l'opposizione pur decurtando dall'importo del debito le fatture gia' pagate e condannava l'opponente alla refusione delle spese del giudizio.
Avverso tale sentenza proponeva appello la societa' Beta, lamentando la violazione delle regole sulla ripartizione dell'onere della prova e la mancanza di buona fede del fornitore.
Sul punto la Corte d'Appello di Perugia respingeva l'appello, confermando la sentenza di primo grado e condannando l'appellante al pagamento delle spese processuali. Avverso tale ultimo provvedimento, la societa' Beta ha proposto ricorso per cassazione.
Il contratto di somministrazione. L'art. 1559 c.c. prevede che “la somministrazione e' il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.
Dall'articolo in esame si evidenzia che nello svolgersi normale del rapporto, le parti sono obbligate, l'una alla somministrazione, l'altra al pagamento del prezzo.
Se invece una delle due parti viene meno, l'altra e' legittimata a non adempiere a sua volta; cio' e' previsto dalla norma generale sui contratti a prestazioni corrispettive, di cui all'art. 1453 c.c., ma anche dalle specifiche norme del contratto di somministrazione: gli artt. 1564 e 1565 c.c. prevedono infatti che in caso d'inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l'altra puo' chiedere la risoluzione del contratto, se l'inadempimento ha una notevole importanza ed e' tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti (art. 1464 c.c.) e che se la parte che ha diritto alla somministrazione e' inadempiente e l'inadempimento e' di lieve entita' , il somministrante non puo' sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso (art. 1565 c.c.).
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Esecuzione di buona fede. L'art. 1375 c.c. recita che “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. I princa'¬pi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti.
Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove cio' sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora cio' sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.
Di talchè, si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalita' non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facolta' furono attribuiti.
Ricorrendo tali presupposti, e' consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volonta' di nuocere, senza che cio' costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacchè cio' che e' censurato in tal caso non e' l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso. (Cass. n. 20106/2009).
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Il ragionamento della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, vi era stato un subentro nella fruizione di una utenza idrica (in data 3.11.2006), in cui il precedente fruitore e il subentrante avevano sottoscritto un verbale in cui era trascritta la lettura finale del contatore, riportante i mc consumati fino al momento del subentro (conformi a quelli indicati nella prima fattura giunta al subentrante dopo il subentro).
Dopo qualche mese (in data 27.4.2007) la societa' somministrante provvedeva a sostituire il contatore dei consumi idrici sostenendone un malfunzionamento in favore del cliente in quanto sottostimava i consumi; inoltre, in maniera autonoma e senza contraddittorio con il cliente, nelle fatture successive (contenenti gli errori contabili e duplicazioni poi rettificati ed eliminati in corso di giudizio) vennero ricontabilizzati anche i consumi del periodo precedente alla sostituzione, in misura superiore a quella contabilizzata dal precedente contatore.
Orbene, secondi i giudici di legittimita' le fatture in esame erano state emesse “in una situazione in cui il consumo effettivo come rilevato dal precedente contatore, e il funzionamento o meno dello stesso, non pia'¹ disponibile, non erano pia'¹ verificabili”.
Sicchè, per principio consolidato e' stato evidenziato che la fattura e' titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovra' essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto (Cass. n. 5915 del 2011).
Difatti, (secondo la giurisprudenza in fattispecie di somministrazione) “e' il gestore stesso che deve documentare l'effettivo traffico relativo all'utenza di cui si tratta, per provare la corrispondenza tra il dato fornito dal contatore e il dato trascritto in fattura.
In difetto, l'utente ben puo' esercitare il proprio diritto di contestazione e controllo, mentre il gestore e' tenuto a dimostrare il corretto funzionamento del contatore centrale” (Cass. 17041/02 e Cass. 10313/04).
Ed ancora, la Suprema Corte ha inoltre precisato che, laddove la prova tecnica di funzionamento non possa essere esperita a causa del comportamento del somministrante (che ha provveduto alla sostituzione del contatore al di fuori del contraddittorio e lo ha eliminato, impedendo ogni verifica tecnica), non puo' addebitarsi al somministrato la mancata prova dell'inesattezza dei calcoli eseguiti dall'opposta.
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha accolto il ricorso della societa' Beta e per l'effetto ha cassato la sentenza con rinvio ad altro giudice della corte territoriale.
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