La Corte di Cassazione con ordinanza del 6 settembre 2016 ha stabilito che le spese di spedizione della fattura telefonica, poichè riguardano l'esecuzione della prestazione dedotta in contratto, fanno parte della base imponibile soggetta ad Iva ex art. 13 D.p.r. 633/1972.
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Il fatto. La vicenda giunta all'esame della sesta sezione civile della Corte di Cassazione trae origine da una sentenza di primo grado con cui il Giudice di Pace condannava la Telecom alla restituzione in favore dell'intimato dell'Iva applicata sulle spese postali di spedizione delle fatture.
Impugnata tale sentenza dalla Telecom, anche il Tribunale, in funzione di giudice di appello, ha conferma la condanna della societa' .
La compagnia, pero', non demorde e ricorre in Cassazione che, con l'ordinanza dello scorso 6 settembre, ribalta l'esito dei due precedenti gradi di giudizio.
Il ricorso della Telecom. Con un unico motivo, la Telecom ricorre in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 n. 16 del Dpr 633/1972 norma che, nel disciplinare le operazioni esenti da imposta, include anche le spese di spedizione postale.Secondo la ricorrente, quindi, la sentenza impugnata ignorando un orientamento giurisprudenziale ampiamente consolidato ha ingiustificatamente stabilito che la restituzione di indebito richiesta da un utente si fondasse proprio sul principio sancito dall'art. 10 n. 16 del Dpr 633/1972.
(Fra i precedenti evocati dalla ricorrente si segnalano le seguenti ordinanze della Cass. 17526/2013; 17613/2013; 17797/2013; 17800/2013; 17517/2013, nonchè le seguenti sentenze: Cass. 5495/2014; Cass. 5461/2014).
L'ordinanza della Cassazione del 6.9.2016 n. 17655. L'ordinanza delle sesta sezione civile della Cassazione ha accolto il ricorso della Telecom ritenendone fondata la prospettazione.
La Cassazione, a tal riguardo, giunge a tale conclusione riportandosi ad un precedente orientamento secondo cui ' In tema di rapporto di utenza telefonica fra utente e Telecom, per le spese di spedizione della fattura a mezzo del servizio postale, previste dalle condizioni generali di contratto come costo da addebitare a carico dell'utente, non e', in mancanza di previsione delle condizioni contrattuali, un'anticipazione eseguita in nome e per conto dell'utente, ma solo un'anticipazione per conto (e nell'interesse) dello stesso, e, dunque, non da luogo alla fattispecie del Dpr 633 del 1972 art. 15, n. 3, deve ritenersi che la pretesa di rimborso della Telecom verso l'utente riguardo a quanto corrisposto per la spesa di spedizione alle Poste italiane fa parte della base imponibile ai sensi dell'art. 13 del DPR appena citato, trattandosi di spesa per l'esecuzione della prestazione, con la conseguenza che legittimamente la Telecom ricarica detta spesa dell'Iva e cio' ancorchè la Telecom sopporti la spesa di spedizione verso le Poste italiane in regime di esenzione ai sensi dell'art. 10, n. 16, dello stesso DPR'. ( Cosa'¬ in particolare Cass. ord. 17526/2013).
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In buona sostanza le spese di spedizione delle fattura addebitate dalla compagnia all'utente non rientrano fra le spese che non concorrono a formare la base imponibile in base a quanto sancito dall'art. 15, n. 3, del Dpr 633/1972 pertanto, non rientrando in tale gruppo la spesa di spedizione postale affrontata dalla compagnia riferendosi ad un servizio necessario per l'esecuzione del contratto con l'utente, deve necessariamente essere ricompresa nella base imponibile anche se la societa' non ne affronta il costo con l'applicazione dell'Iva trattandosi di spesa in regime di esenzione ex art. 10 n. 16 del Dpr 633/1972.
L'esenzione prevista proprio da quest'ultima norma riguarda solo chi vanta un rapporto diretto con il gestore del servizio postale, ma non esiste alcuna norma che preveda un trasferimento del beneficio dell'esenzione in capo all'utente per il quale la societa' di telecomunicazioni abbia fatto ricorso al sistema postale.
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In pratica l'utente non ha alcun diritto al restituzione dell'iva applicata dalla Telecom sulle spese di spedizione delle fatture, di conseguenza l'ordinanza della Cassazione dello scorso 6 settembre cassa la sentenza impugnata dando piena ragione alla societa' .
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