Ci risiamo. La controversia in commento e' una tra le vicende processuali pia'¹ frequenti nel contesto condominiale e, in senso pia'¹ ampio, in materia di “rapporti di vicinato”.
La prossimita' a d unita' abitative di locali destinati ad attivita' di “svago”, quali un bar o un ristorante, con orari di apertura che si protraggono fino a tarda sera e un flusso sostenuto di avventori – che stazionano anche all'esterno del locale stesso –, puo' compromettere la serenita' della vita condominiale; peraltro, alle immissioni acustiche, nel caso di attivita' di ristorazione, si aggiungono le esalazioni di fumo e odori, idonee a superare, in alcune circostanze, il limite della normale tollerabilita' . Con tali presupposti, la lite e' servita.
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Il fatto Nel caso di specie, il Condominio hacitato in giudiziole proprietarie di un immobile sito nel medesimo complesso condominiale e il conduttore del locale, titolare dell'attivita' ivi esercitata: lamentando una destinazione dell'immobile contraria alle previsioni regolamentari – un bar con attivita' eno-gastronomica –, il Condominio ha chiesto la cessazione della stessa, o, comunque, delle immissioni di rumore e di odori, e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti e subendi. (Si ricorda peraltro che le norme dei regolamenti condominiali di natura contrattuale esplicano la propria cogenza anche nell'ipotesi in cui il titolare dell'attivita' “vietata” non sia il proprietario dell'unita' immobiliare, ma un mero conduttore oppure un soggetto succeduto al primo a titolo particolare nella proprieta' del bene.
La previsione regolamentare si pone infatti quale vincolo di natura reale che equivale a una servita'¹ reciproca: il condomino risponde delle violazioni del regolamento condominiale perpetrate dal suo conduttore, laddove non dimostri di aver adottato misure idonee a far cessare gli abusi.)
La decisione Il Tribunale adito ha tuttavia ritenuto non fondate le doglianze del Condominio: la norma regolamentare invocata a sostegno delle pretese attoree vieta le attivita' di pensione, di industrie, di uffici pubblici che comportino un afflusso eccessivo di estranei, quali ambulatori, sanatori, gabinetti per cura di malattie infettive e contagiose; tuttavia, deve tenersi presente che i divieti all'esercizio di determinate attivita' in un'unita' in condominio devono risultare in maniera specifica ed inequivocabile poichè il regolamento di condominio, anche quando abbia natura contrattuale – in quanto approvato con consenso unanime dalla compagine assembleare –, non puo' comprimere irrazionalmente la naturale espansivita' del diritto dominicale dei condomini.
Specificamente, rammenta il Tribunale, le limitazioni al godimento e alla destinazione d'uso degli immobili in proprieta' esclusiva «devono essere espressamente e chiaramente manifestate dal testo o, comunque, devono risultare da una volonta' desumibile in modo non equivoco da esso […], con la conseguenze che non sono suscettibili di applicazione analogica» ( Trib. Roma, n. 21947/2016).
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Nella fattispecie in questione, l'organo giudicante muove dunque dal dato letterale per escludere che l'attivita' contestata possa farsi rientrare nel divieto in questione: quest'ultimo si riferisce ad “attivita' industriali”, ma l'attivita' esercitata nel caso concreto va qualificata quale «attivita' prettamente commerciale e/o artigianale, dal momento che il convenuto realizza prodotti con elementi finiti, servendosi di semplici apparecchiature e non si avvale di dipendenti»; inoltre, non risulta neppure provata la circostanza di un «afflusso eccessivo di pubblico».
Inoltre, la destinazione catastale attribuita dal costruttore al locale in questione e' ad uso negozio: ebbene, chiarisce il giudice romano, «non v'e' dubbio che all'interno di un negozio sia normalmente esercitabile un'attivita' commerciale, con naturale afflusso di clientela, afflusso certo di cui non e' possibile a priori stabilire l'entita' .
Industria e', com'e' noto, ben altra cosa e la dizione letterale alla quale occorre fare riferimento non puo' lasciare dubbio alcuno».
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In conclusione, la richiesta inibitoria va rigettata poichè l'attivita' esercitata non configura alcuna violazione delle previsioni e dei limiti regolamentari, nè integra peraltro alcun reale pregiudizio alla tranquillita' della vita condominiale – in ragione dell'esercizio discontinuo dell'attivita' stessa.