Uno dei reati pia'¹ contestati all'amministratore di condominio infedele e' l'appropriazione indebita, reato previsto e punito dell'art. 646 del codice di procedura penale.
Si tratta della condotta che si sostanza nella sottrazione di cose, per la maggior parte dei casi di somme di denaro, che sono riferibili ad uno o pia'¹ condominii.
L'appropriazione indebita in esame e' aggravata dall'abuso di relazioni di ufficio (art. 61 n. 1 c.c.); tale circostanza rende il delitto punibile d'ufficio.
Cio' vuol dire che l'amministratore che si e' impossessato di denaro dei condo'mini puo' essere perseguito anche senza necessita' di sporgere querela; ove questa sia stata sporta e poi ritirata, tale ritiro non influisce sulla prosecuzione della procedura.
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Prova dell'appropriazione indebita
La pubblica accusa, leggasi pubblico ministero, deve dimostrare in giudizio che l'amministratore di condominio, che aveva nella sua disponibilita' somme di denaro, se ne e' poi appropriato, traendo ingiusto profitto per sè o per altri.
Non basta l'appropriazione, quindi, serve anche l'ingiustizia del profitto. E' difficile, ad esempio, dimostrare la ricorrenza di tale requisito ove l'amministratore abbia trattenuto somme in presenza di proprie anticipazioni in favore del condominio, magari anche riportate nello stato patrimoniale del rendiconto poi approvato dall'assemblea.
In una sentenza, la n. 21983, resa dalla Suprema Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale, con deposito in cancelleria l'8 maggio 2017, data di udienza 28 aprile 2017, gli ermellini si sono soffermati sull'onere probatorio in capo alla pubblica accusa, sulla sua valutazione da parte del magistrato giudicante, e sul fatto che l'appropriazione indebita da parte dell'amministratore di condominio puo' essere provata anche in ragione di assenza di elementi utili a far concludere diversamente; insomma in via deduttiva.
Nel caso di specie il difensore dell'imputato – amministratore di condominio condannato tanto in primo grado, quanto in appello – aveva proposto ricorso per Cassazione avverso l'ultima sentenza di condanna.
A modo di vedere del suddetto avvocato, infatti, la pronuncia aveva addossato all'amministratore la responsabilita' del delitto di appropriazione indebita a titolo oggettivo, ossia per il solo fatto della sua posizione di legale rappresentante della compagine, non esistendo in atti la prova della condotta appropriativa penalmente perseguibile.
La Corte non si e' mostrata dello stesso avviso, concludendo per la reiezione del ricorso e conseguente conferma di condanna dell'amministratore di condominio.
Cio' che conta per gli ermellini, ai fini della formazione della prova della commissione del reato di appropriazione indebita in casi come quello sottoposto al loro esame, e' anche la condotta dell'amministratore accusato.
In questo caso e' la Corte di appello era giunta affermare l'esistenza del reato in ragione di una chiara, logica e quindi incensurabile (in sede di legittimita' ) motivazione.
La sentenza impugnata, dicono i giudici di piazza Cavour, avevano rilevato che l'oggetto dell'impossessamento era costituito dalle somme di denaro giacenti sul conto corrente condominiale, la cui gestione era esclusivamente rimessa all'amministratore.
In questo contesto, a fronte dei prelevamenti in varie modalita' effettuati, risulto' che i creditori del condominio non fossero stati pagati. Non solo, l'imputato non aveva fornito alcuna giustificazione contabile di quei prelievi.
Cio', si legge in sentenza, fa sa'¬ che possa considerarsi legittima “la logica deduzione della appropriazione delle somme direttamente da parte dell'amministratore; peraltro quest'ultimo, rendendosi irreperibile, non ha neppure offerto ad alcuno (nè al condominio, nè al giudice) una qualsiasi spiegazione dei prelevamenti e delle spese riscontrati, cosa'¬ avvalorando, nei fatti, le accuse rivoltegli.
Dunque, nessuna forma di responsabilita' oggettiva e' stata concretata, bensa'¬ una evidente attribuzione dei prelevamenti (comunque operati tramite le movimentazioni contabili ingiustificate) all'unico soggetto che aveva l'abilitazione a disporre del conto corrente bancario condominiale” (Cass. pen. 28 aprile – 8 maggio 2017 n. 21983).
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