La questione. Con atto di citazione Tizio (ex amministratore) conveniva in giudizio il Condominio avanti al Giudice di Pace di Torino. L'attore esponeva che, per far fronte ad alcuni scoperti, aveva versato alcune somme sul conto corrente del condominio; sicchè, residuava a suo credito la somma di due mila euro. Per tali motivi chiedeva la restituzione di tale somma.
Il giudice adito accoglieva parzialmente la domanda e condannava il condominio alla restituzione di mille euro nei confronti dell'attore.
In secondo grado, il Tribunale di Torino (in grado di appello) accoglieva integralmente la domanda attorea con condanna del condominio alla restituzione di due mila euro.
Al riguardo Il tribunale evidenziava che dalla documentazione prodotta risultava che Tizio aveva versato sul conto corrente condominiale gli importi di cui aveva chiesto la restituzione. In mancanza di prova contraria del condominio, la domanda e' stata accolta. Avverso questa decisione, il condominio ha proposto ricorso in cassazione adducendo che:
Il ragionamento della Corte di Cassazione. Dall'esame di causa, era emerso chein primo grado non era stata identificata con esattezza la ragione della restituzione.
Invero, il giudice di Pace non aveva precisato se la condanna di mille euro era la conseguenza dell'accoglimento della domanda di restituzione o della domanda subordinata ex art. 2041 c.c. (arricchimento senza causa).
Difatti, su tale aspetto, l'appellante Tizio av
Invero, il giudice di Pace non aveva precisato se la condanna di mille euro era la conseguenza dell'accoglimento della domanda di restituzione o della domanda subordinata ex art. 2041 c.c. (arricchimento senza causa).
Difatti, su tale aspetto, l'appellante Tizio aveva impugnato la pronuncia solo sul quantum e non sull'an (l'esistenza del diritto).
Detto cio', secondo la suprema Corte, la parte appellata (condominio), in questo modo era stata posta nell'incertezza delle domande dalle quali difendersi, potendo accertare solo dalla lettura della sentenza (a posteriori) i motivi sui quali, secondo la ricostruzione del giudice di appello, era stata chiamata a contraddire.
Per tali ragioni, la cassazione ha ritenuto fondata la censura del primo motivo. Ma e' sul secondo motivo di ricorso che si basa la parte pia'¹ importante per l'attivita' professionale dell'amministratore: la mancanza di un titolo idoneo che dimostrasse l'ingiustificato arricchimento.
Secondo la ricostruzione dei fatti di causa era emerso che Tizio aveva dichiarato che il conto corrente era privo di fondi e che, per tali motivi, era stato costretto a versare le somme.
Su tale aspetto, la Suprema Corte (contrariamente a quanto precisato dal giudice del gravame) ha evidenziato che “per provare l'esistenza di un contratto di mutuo non basta dimostrare che l'avvenuta consegna del denaro, ma occorre dimostrare che tale consegna sia stata effettuata per un titolo che implichi l'obbligo della restituzione.
Solo in tal modo e' possibile dirsi adempiuto l'onere della prova” (In tal senso Cass. 5691/1983 e 3642/2004).
Di conseguenza, secondo la Cassazione non era sufficiente, come aveva invece sostenuto il Tribunale, la prova dei versamenti sul conto corrente condominiale da parte dell'amministratore.
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con l'ordinanza depositata il 20 settembre 2017 n. 21633 ha stabilito che “senza prove certe dell'esistenza di un «mutuo» l'amministratore perde i soldi . Ne consegue che gli anticipi di cassa vanno restituiti solo se esista un titolo valido”.
CortediCassazione_21633_2017.pdf