In tema di recupero dei crediti condominiali, l'amministratore che abbia chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo contro il quale il condomino s'è opposto può proporre appello avverso la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione assembleare?
La risposta è si, almeno secondo l'insegnamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione; vediamo perché.
=> Recupero dei crediti condominiali
Ai sensi dell'art. 1129, nono comma, c.c. “salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice”.
Si badi: agire entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile (cioè scaduto) è compreso e non per forza per mezzo di un ricorso per ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (Condomino moroso e recupero crediti: se il credito è esiguo è meglio non proseguire con il pignoramento?)
In base al combinato disposto tra questa norma e quella che impone all'amministratore la presentazione all'assemblea del rendiconto entro sei mesi dalla chiusura della gestione contabile (cfr. art. 1130 n. 10 c.c.), l'amministratore quasi sempre potrà agire per recuperare le somme chiedendo al giudice competente (Giudice di pace o Tribunale del circondario in cui è ubicato l'immobile) l'emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento.
L'azione monitoria – così si chiama perché in questa prima fase non prevede contraddittorio tra le parti – può essere iniziata senza preventiva autorizzazione assembleare. A stabilirlo è l'art. 63, primo comma, disp. att. c.c.
Che cosa accade se il condomino presenta opposizione? In tal caso s'instaurerà – previo svolgimento di un tentativo di mediazione – un processo contenzioso ordinario. E se la sentenza al termine di questo procedimento è sfavorevole per il condominio, quali saranno i poteri dell'amministratore? Egli potrà appellare autonomamente quella decisione? Oppure avrà bisogno della preventiva autorizzazione dell'assemblea? Insomma è chiaro che si sta parlando della sempre spinosa questione dei limiti della legittimazione attiva e passiva dell'amministratore condominiale.
Secondo la Cassazione massima libertà d'azione. Si legge in una pronuncia resa nel 2014 che in “base al disposto degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., l'amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, sicchè egli è abilitato, senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare (trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni), ad impugnare il provvedimento giurisdizionale sfavorevole alla collettività condominiale (Sez. 2^, 23 gennaio 2014, n. 1451)” (Cass. 1 aprile 2014 n. 7546).
Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una presa di posizione pienamente in linea con quanto stabilirono le Sezioni Unite nelle sentenze gemelle nn. 18331-2 del 2010. Tuttavia, proprio queste decisioni sono state sovente oggetto di una lettura eccessivamente estensiva, che alle volta a finito per svuotare l'amministratore di qualunque autonomo potere d'iniziativa processuale. Come dire: non ci si dovrebbe meravigliare di qualche pronuncia di senso opposto. (Decreto ingiuntivo condominiale, nel giudizio di opposizione è inutile lamentarsi dell'illegittimità della delibera)