I fatti. La Suprema Corte veniva adita al fine di ottenere l'annullamento della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, con la quale era stata accertata e dichiarata la responsabilita' di tutti gli imputati (proprieta' committente, societa' venditrice, operai di quest'ultima) per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 44 lett. B) D.P.R. n. 380/2001, 181 co. 1 D.lgs. n. 42/2004, per aver realizzato, in concorso tra loro, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed in assenza sia di permesso a costruire che della necessaria autorizzazione, diverse opere edilizie, tra cui un prefabbricato composto da cinque ambienti, un manufatto ed una muratura rivestita in pietra.
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Natura precaria dell'opera edilizia. La Cassazione - Terza Sezione Penale, con sentenza n° 6872/2017, ha esaminato in primo luogo i motivi che riguardano la sussistenza oggettiva dei reati.
Nello specifico, la Corte si e' soffermata sulla definizione di “natura precaria dell'opera edilizia”, affermando che detta natura non deriva nè dalla tipologia dei materiali impiegati per la realizzazione nè dalla sua facile amovibilita' .
Piuttosto, elemento fondamentale e' l'oggettiva temporaneita' e contingenza delle esigenze che l'opera edilizia e' destinata a soddisfare.
Richiamando propri precedenti conformi (tra cui, solo per citare le ultime, Sez. 3, Sent. n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sent. n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sent. n. 22054 del 25/02/2009), gli ermellini hanno ribadito che l'opera edilizia non assoggettabile a regime concessorio e quindi liberamente realizzabile deve soddisfare i requisiti di provvisorieta' ed di utilizzazione temporanea e contingente.
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Pertanto, la temporaneita' dell'esigenza che l'opera precaria e' destinata a soddisfare e' quella (e solamente quella) che non sia suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull'assetto e sull'uso del territorio.
Nel caso di specie, il modulo abitativo prefabbricato era stato collocato sopra una piattaforma cementizia, sotto la quale erano stati predisposti gli alloggiamenti per le tubature idriche e gli impianti elettrici; gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari destinati a servire il manufatto erano gia' stati realizzati.
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Responsabilita' di tutti gli imputati. Confermando la sentenza di condanna della Corte d'appello la Suprema Corte ha ribadito che devono essere considerati responsabili non solo la proprietaria committente, ma anche il legale rappresentante della societa' venditrice e gli operai di quest'ultima.
Quanto alla venditrice, questa non si era limitata alla mera vendita del manufatto, ma si era occupata direttamente della sua posa in opera e della realizzazione degli allacci, destinandovi due operai.
Alla luce di cio', i Giudici di legittimita' hanno ritenuto di qualificare la societa' venditrice come “costruttore”, attribuendo conseguentemente alla medesima il dovere di controllare preliminarmente la richiesta ed il rilascio delle necessarie e prescritte autorizzazioni.
La natura della responsabilita' potra' essere, ha ricordato altresa'¬ la Cassazione, dolosa, in caso le opere siano state iniziate nonostante l'accertamento negativo, ovvero colposa, in caso sia mancato l'accertamento.
Quanto agli operai, gli stessi sono stati chiamati a rispondere del reato come concorrenti, in quanto materiali esecutori dei lavori.
Con la loro opera (ovvero rendere reso il manufatto, privo di permessi ed autorizzazioni, oggettivamente stabile e non pia'¹ provvisorio) hanno apportato un contributo causale rilevante e consapevole nella realizzazione dell'evento.
In conclusione,
appare chiaro come la ratio sottostante alla pronuncia in commento sia quella secondo cui a rispondere di abuso edilizio non e' soltanto il proprietario committente ma anche tutti quei soggetti (societa' venditrice ed operai) che abbiano contribuito causalmente, magari anche solo a titolo di colpa, a conferire una natura di oggettiva stabilita' all'opera edilizia costruita in assenza di autorizzazioni e permessi.
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